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Ventiduesima lettera: chiedere scusa

Molti anni fa mi capitò di vivere una storia d'amore talmente struggente e disperata da sentirmela tuttora sulla pelle, come se mi fosse capitata ieri. Amai quella persona come potrebbe fare un adulto che ha il cuore aperto e spensierato di un bambino e gli occhi gonfi di lacrime di un vecchio.

Furono due mesi di felicità e, allo stesso tempo, di tristezza: sapevo fin dall'inizio che quella storia non sarebbe potuta durare. Ed è per questo che ogni momento che passai insieme a lei fu magico. Era l'onda che veniva e che andava via, la bellezza dell'incontro e dell'addio. La coincidenza della felicità con il suo opposto. L'illusione di fermare il tempo, di rendere immortale il momento ed eterno ciò che ogni giorno scompare.

Tuttavia, fu un amore non corrisposto. Mi accorgevo di questo, lo avvertivo, ne avevo la percezione, mi rabbuiavo. Era irrazionale, ma lo sapevo che era così. Non mi importava: ero infelice, sì, ma anche felice, dopotutto. E questo secondo aspetto era irrinunciabile, tanto da prevalere sul primo, fino, a volte, a farmene dimenticare. Vivevo per quegli istanti. La mia vita aveva senso soltanto in quei brevi momenti di dimenticanza. Spazi talmente concentrati e ristretti e intensi e dolorosi e vitali, che non esistono parole per descriverli. 

Ero un pesce in una bolla di vetro, che conosceva l'esistenza dell'oceano, ma che non l'avrebbe mai scambiato con l'acqua del proprio acquario. E questo non per abitudine, non per mancanza di iniziativa, né per desiderio di libertà.

L'amore è libertà per chi si ama, non per se stessi.

Andò avanti così, per quei pochi giorni che durò, finche lei, dopo che glie lo ebbi chiesto, me lo disse chiaro e tondo che non mi amava.

Non mi raccontò altro che una cosa che già sapevo e della quale le avevo chiesto la conferma. Ma il fatto che qui conta è che la disse e non che la conoscessi. Dire "non ti amo", a quel punto, significava inevitabilmente lasciarsi.

E allora, cosa fece il mio cuore impazzito di fronte al suo amore sempre più lontano? Iniziò a girovagare, a lavorare di fantasia, inventò ragioni recondite, pensò a ipotesi ultraterrene. Infranse il vetro della bolla per ritrovarsi in un mare straniero.

Immaginò un'altra donna al posto di quella che conosceva. E fin qui non ci sarebbe stato niente di male, dato che non era la mia testa ad agire, bensì il mio cuore ferito.

Il vero problema fu quando la fantasia divenne parola e le dissi tutto ciò che avevo immaginato, dipingendola nel modo più sbagliato che potessi fare. Il ritratto fu quello di un'altra persona, ma per titolo aveva il nome di lei. E la firma era la mia.

Lei non disse nulla, non fece un gesto, non rispose. Si limitò a guardare questo quadro, che non la rappresentava e nel quale non si riconosceva per nulla, e a sorridere, pensando a quanto poco bravo fosse il ritrattista. Tutto qui, niente di più, né di meno.

Qualche tempo dopo, lei mi richiamò per dirmi che ogni tanto mi pensava. Le risposi che io la pensavo sempre, continuamente, ogni momento delle mie giornate. E mi spiegò cosa le era capitato e che io non avevo capito. 

Le dissi che è difficile comprendere se non si parla. E che, se non si comprende, è necessario immaginare, perché ciascuno di noi ha bisogno di spiegazioni e di risposte. E se non arrivano, finisce che prima o poi ce le diamo da soli. Perché non siamo barche in mezzo al mare e nella vita abbiamo bisogno di punti fermi. Se non di porti, per lo meno di ancore. Anche se non è una consolazione, dobbiamo sapere di che morte morire. 

E ora che l'ho saputo, anche a distanza di tempo, non c'è niente di male nel chiedere scusa: non per avere immaginato, ma per aver detto. Non ne avevo il diritto, così come lei non non aveva il dovere di amarmi.

Questa storia, e questa lettera, per insegnarvi a riconoscere le vostre colpe e a chiedere scusa, perfino quando non doveste essere completamente sicuri di avere sbagliato. E' infatti meglio sbagliare chiedendo scusa, che commettere l'errore di non farlo. Chiedete sempre scusa, anche mille volte, anche a costo di collezionarle, le scuse, e sembrare persone insicure e più fallaci di chiunque altra. Anche correndo il rischio che le vostre scuse possano sembrare non più credibili. 

Non provate vergogna a chiedere scusa. Non importa se sarete perdonati per gli sbagli commessi, questo è l'ultimo dei vostri problemi. Ma che vi togliate un macigno dalla coscienza ogni volta prima di morire, prima che ogni giorno finisca.

Sì, ho detto proprio "prima di morire". Perché nulla va lasciato in sospeso, soprattutto le questioni pendenti con chi si ama. La morte è sempre prematura. Anche quando sopraggiunge a cento anni, arriva troppo presto. Soprattutto se prima non abbiamo chiuso i conti con la nostra coscienza.

Commenti

  1. Io non chiederei scusa per aver dichiarato l'amore non corrisposto. Mai. L'amore è una tempesta, è un circuito, è un terremoto, è una forza che non puoi contenere e non c'è scusa che tenga al suo dirompente deflagrare. Sarebbe come scusarsi perché piove. Anche quando, quelle bagnate, sono le tue lacrime. L'amore non può essere silente, non può non manifestarsi, anche quando lo sai che dovrai inghiottirlo e dovrai farci i conti da solo. Lo griderei comunque. Lo canterei, lo inventerei, lo vestirei ma l'amore non chiede scusa per essere cosi tanto o così troppo... Mai.

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