Un uomo... E vero, per giunta.
Che cosa vuol dire? Siamo tutti, anche tu, esseri umani.
Il fatto è che certe volte lo dimentichiamo, e questo io cerco di non farlo.
Io colgo, perfino nello sguardo, di chi è indubbiamente e sfacciatamente felice, un velo di tristezza.
Io non mi soffermo sul sorriso, ma sugli occhi umidi di chi ho davanti.
Io, in una bella giornata di sole, ne intravedo il termine. E al termine, ripenso sempre a quanto è stata bella, anzi, che è stata la più bella di tutte: per me il ricordo conta più del presente evanescente, perché può durare quanto voglio.
E' questo il modo di essere uomo, vero.
Ci pensavo l'altra volta, guardando le foglie cadere. Ma non è, questa facile e ricorrente metafora della nostra caducità, l'aspetto che voglio sottolineare. Bensì la considerazione della primavera attraverso la lente dell'autunno.
Quanto dura, infatti, il periodo dei fiori e del sole e delle giornate interminabili? Davvero poco di fronte alle altre stagioni, che mi appaiono galleggiare in una nuvola di vapore inconsistente e che hanno contorni che non riesco a definire.
Guarda le foglie sul selciato, calpestate e senza più forma. Osserva la stessa aria, fra noi e loro: è un muro impenetrabile, un colore che non è trasparente, ma è di latte, e brucia gli occhi.
Se non si può vedere bene, non si riesce nemmeno a toccare, a prendere per un po' e a capire.
Cadiamo tutti prima o poi, ma prima passiamo la vita a cercare, se non di elevarci, di stare in piedi.
E' proprio questo l'uomo: quello che, fin dal giorno in cui è venuto al mondo, per tutta la sua esistenza lotta contro la forza di gravità, talvolta riportando, per qualche attimo, piccoli successi illusori.
L'uomo vero è invece quest'altro: quello che ha la giusta misura delle proprie debolezze e vittorie quotidiane, non se ne fa un vanto e sa, con il sorriso, quanto assomiglia, egli stesso, alle foglie che cadono giù dagli alberi.
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