C'è una parola, fra tutte quelle che fanno parte della lingua italiana (ma il discorso è valido in qualsiasi Paese) che dovrebbe essere usata con grande attenzione, se non addirittura con parsimonia. E' la parola "amore". Invece, la sento pronunciare fin troppo spesso e volentieri, quasi come un modo di dire o perfino un intercalare. Mi insospettisce e infastidisce ascoltare parlare in questo modo, udire chiudere una frase con un "ti amo" detto senza consapevolezza, senza prima sentire nel profondo il sentimento stesso che si sta esprimendo. Senza il fremito che la detta. Non dico che chi pronuncia certe frasi lo faccia senza una ragione o una convinzione, o, appunto, un sentimento. Ma dire "ti amo" ogni due minuti e in ogni frase, ai figli come al cane, al criceto o al compagno, ne svilisce il significato, lo rende meno profondo, meno sentito, meno struggente, meno sofferto, come invece l'amore dovrebbe essere. Dire "amore mio" o "ti amo", mi sembra sia diventato ultimamente una frase fatta, come quando ci si incontra e si chiede "come va", senza poi aspettare la risposta oppure, se arriva, senza neanche ascoltarla, ché tanto il più delle volte è uno scontato "bene, grazie", anche se tutto dovesse andare a rotoli.
C'è poi la questione dell'educazione (questo è un blog di un padre per i suoi figli). Dire sempre "ti amo" è diseducativo rispetto all'insegnare (se si può) ciò che l'amore è. Dire costantemente "ti amo" diventa appunto solo un modo di parlare e si finisce per credere che l'amore sia esattamente questa bella frase, che invece dovrebbe essere pronunciata con una fitta al petto, con le lacrime agli occhi o anche con un sorriso e con uno sguardo che trattengano il più possibile chi si dice di amare. Invece, i molti "ti amo" che ascolto, sono modi di salutare. Dolcissimi, d'accordo, ma che non hanno la funzione e non rendono affatto ciò che l'amore è.
Per chiudere, dato che la domanda sorge spontanea: che cos'è quindi l'amore? Per me sono i fatti, le azioni. E' la sofferenza, la passione. E' la comprensione, la predisposizione a capire. E' il desiderio di conoscere l'altro, il cercare di ascoltare i suoi bisogni, facendoli propri. Viceversa, è la necessità che anche l'altro ci guardi e si accorga di noi: non può e non deve esistere un amore univoco. Ed è anche un addio, se è necessario, se può far bene. Solo allora, quella parola, "ti amo", può andare bene, a patto dunque che, quando la si pronunci, includa dentro di sé almeno uno di questi sentimenti.
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