E' stato durante una recente passeggiata lungo il fiume, che hanno preso vita i pensieri che mi accingo a scrivere. E anche adesso, nel momento stesso in cui lo faccio, so di non essere esente da ciò che sto per dire. Qualsiasi affermazione, non fosse altro che per il fatto di essere parziale, contiene un margine di errore. Non esiste una frase, non un giudizio, che possa esser considerata giusta al cento per cento. Da una parte siamo ignoranti, dall’altra presuntuosi, da un’altra ancora distratti oppure illusi, inconsapevoli, incoscienti. Ma è quando mostriamo opportunismo che le cose precipitano.
Non mi riferisco a quella qualità, che il più delle volte è considerata un difetto, di saper cogliere un’opportunità, un’occasione, per sfruttarla a nostro vantaggio. Penso piuttosto a chi è opportunista del modo di parlare, a chi, dopo averla decostentualizzata, sfrutta quella certa parola per ottenere una ragione che altrimenti non avrebbe mai. Prendi un termine, estrapolalo dalla frase che il tuo interlocutore ha pronunciato e, dopo aver capito che gli calza a pennello, cucilo addosso al tuo ragionamento.
Ora, aver ragione in questo modo mi fa sorridere, perché non passa molto tempo che tutti ci si accorge di quanto sia puerile un simile atteggiamento, che lascia il tempo che trova: si tratta di verità indotte, niente affatto obiettive, costruite e non preesistenti, mentre la verità vera se ne sta ferma da qualche parte, sepolta non so dove, e questo dovrebbe lasciarci con un senso di vuoto allo stomaco, perché non è uscita fuori e non ce ne siamo cibati. Succede invece, e qui vengo al punto, che ci sentiamo sazi dell'esito di qualsivoglia ragionamento o discussione. Appagati e felici, anche se dentro di noi sappiamo di aver mentito, anzitutto a noi stessi. Ecco, ritengo essere questa la forma più alta di ignoranza, una che fa rima con un apparente appagamento cui si finisce addirittura per credere. Un'appagante ignoranza spacciata per sapienza.
Già, perché di certezze abbiamo bisogno per vivere e, vere o finte che siano, necessitiamo di sicurezze e di convinzioni per andare avanti. Dobbiamo credere di aver ragione e dobbiamo pensare che gli altri hanno torto. Ne ho conosciute tante di persone che ragionano così. E che ostentano una sicurezza che in fin dei conti si dimostra il più delle volte vincente. Perché la gente guarda molto più all’apparenza che alla sostanza e non ha tempo e non gli interessa andare a fondo, capire, comprendere. Conosco persone senza qualità, apprezzate, beate loro, per ogni respiro che emettono, soltanto perché sanno dare valore e credono, per prime, al nulla che vendono. Dall’altra parte, ho presente gente che avrebbe molto da dare, prima ancora di dire, ma che non è capace di farlo, e se ne resta tutto il giorno in silenzio. Ora, io rispetto sia le une che le altre, ma le prime mi divertono e le seconde mi rattristano. Ma, a pensarci meglio, mi amareggia in ogni caso la realtà drogata presente in entrambe le situazioni: quella dell'ignoranza nascosta dietro tante parole che non dicono nulla, così come l'assenza di chi non si pronuncia perché non sa cosa dire.
Camminando lungo il corso d'acqua, mi viene in mente Cratilo, l’allievo di Eraclito che aveva superato il maestro estremizzandone il pensiero e che addirittura aveva deciso di non parlare delle cose e di non chiamarle per nome, ma soltanto di indicarle con un dito, laddove il filosofo del cambiamento si era limitato a dire che “nello stesso fiume non possiamo bagnarci due volte”, poiché l’acqua che vi scorre non è mai la stessa. Invece, Cratilo, giunse ad affermare che nel fiume neanche una volta soltanto ci si può immergere, perché l’acqua che tocca le dita del piede non è la stessa che bagnerà il tallone. Parliamo evidentemente di altri tempi, molto lontani e diversi dai nostri, di gente che cercava di capire e riconoscere, assieme ai limiti del ragionamento, anche i propri. Persone umili e lontane anni luce da questi giorni, nei quali imperversa un senso di presunzione che sfocia spesso in atteggiamenti di onnipotenza, da un epoca nella quale un like sul social ci riempie di gioia, ci svolta la giornata e dà un senso alla nostra vita.
Da parte mia, preferisco starmene da una parte, se possibile, in qualche modo lontano dal rumore che attorno a me sono costretto a sentire. Sorrido e mi rattristo, ma perlomeno non gioisco e né mi dispero per ciò che non esiste, per verità che non sono tali e per un'ignoranza spacciata per sapienza.
Ciao Cristiano, Matteo è invaghito della scienza e, come tutti gli innamorati, non fa che parlare dell'oggetto della sua passione: "mamma sai cos'è un airlock?" "Dovrebbe essere una valvola che permette all'aria di uscire ma non di entrare", "brava, ma sai come funziona?" (perché lui è un vero integralista della conoscenza), "Veramente no, dimmi". E vai di spiegazioni interminabili e accuratissime. Non ho mai avuto problemi ad ammettere di non sapere qualcosa. Lui invece è in quella fase in cui tutto gli sembra comprensibile e da comprendere allora io, ogni tanto, mi diverto a destabilizzarlo; domenica scorsa mentre ascoltavo la registrazione dell'omelia del nuovo papa, l'ho sentito dire con tono vagamente ironico: "ma cosa fai? [...] non ti riconosco più!". Ho fermato il video e ho risposto: "che strano: ti facevo un po' più mentalmente aperto". Lui è rimasto interdetto per qualche secondo e poi si è ritirato in camera. Arriverà il momento in cui la vita lo lascerà senza parole, a tempo indeterminato, credo sia giusto iniziare ad abituarlo, dolcemente e, dunque, del tutto inutilmente.
RispondiEliminaÈ sempre un piacere leggerti, a presto!
Ciao, ben trovata. E anche il gigantino mi pare in forma. Prima di se stesso, per ora lascia senza parole me. Ma quanti anni ha?
EliminaComunque, come al solito hai centrato il punto. Meglio di tante frasi effimere o ridondanti è il silenzio.
Per tornare alla metafora, questo è il letto del fiume ed è l'unica cosa certa di fronte a tanta o poca rumorosa acqua che passa e che scompare.
Ciao Cristiano mi pareva di averti risposto ma sicuramente ho pasticciato coi pulsanti. Il gigantino ha sedici anni e mezzo ed è una gran bella personcina, un po' complessa ma, penso, ogni figlio lo è. Mi crea qualche problema il fatto di non essere più il centro del suo mondo, ci sto lavorando...è un problema mio. Comunque rimane il più bel dono che la vita mi abbia fatto. E i tuoi ragazzi invece, che dicono, che pensano e come va il vostro rapporto? Se ho capito qualcosa di te dovrebbero essere gran belle personcine pure loro. Ecco mi pare fosse questa la mia risposta. A presto!
RispondiEliminaAnche i miei figli, di 14 e 18 anni, diventano sempre più indipendenti e di questo sono contento. Ho sempre concesso loro la libertà che meritavano e credo la gestiscano bene. Il nostro è un buon rapporto, sanno che gli voglio bene e credo me ne vogliano anche loro. L'ho fondato sul dialogo e sull'ascolto, anche se so che alcune cose non vengono dette, ma è normale. Penso comunque siano trasparenti.
EliminaSono senz'altro migliori di me, e non ci vuole troppo a esserlo, a dire il vero.
Vorrei che nella vita siano felici e che non restino per troppo tempo intrappolati nelle situazioni spiacevoli che prima o poi capiteranno.