Non ho mai visto una panchina
e se ne vada in giro per il parco.
Eppure, nelle assi
dilatate dalla pioggia
e bruciate dal sole
leggo un volto che ha rughe di legno,
lisce grazie a uno scultore
che non usa scalpelli e lime,
ma la forza del tempo e dell'attesa.
E che è bello accarezzare
con la mano della memoria.
Saranno passati almeno dieci anni
da quella sera di ottobre.
Eravamo più giovani
e al culmine della felicità,
ma con nell'animo un vago e infondato
presagio di caduta.
Tu sei andata via e non sei più tornata,
né io ti ho aspettata.
La panchina era ferma al suo posto
già prima di noi.
Ed è ancora lì,
sopra l'erba ora verde e adesso gialla,
indifferente al passaggio delle stagioni,
di chi si siede
o semplicemente le passa accanto.
Ed è come se in tutto questo tempo
nulla d’importante sia mai accaduto.
Il legno adesso
fa crepe sempre più larghe
fino a spaccarsi.
C’è una forza centrifuga,
indifferente,
che non risparmia nessuno.
Nemmeno le farfalle
che volano leggere
accarezzate dal vento.
E neanche gli insetti
che sono piccoli
e camminano rasoterra. (2025)
Commenti
Posta un commento