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Nonno ti ama

"Nonno ti ama", ha detto Dodokko alla nonna. "Mi chiama?", gli ha chiesto lei. "No, ti ama. Ti ama", ha ripetuto il bambino. "Non vedi come ti abbraccia e come ti aiuta a camminare?". Parole e frasi dimenticate e che, dopo tanto tempo, forse non ha più senso dire. Quando esistono, sono le azioni a sostituire la voce. E se all'improvviso quella voce, a distanza di anni, si sente di nuovo, quasi si stenta a credere alle proprie orecchie. Tutto ciò che un bambino dice ha il sapore della novità e non è affatto vero che è superfluo parlare di cose che sono evidenti. Ciò che è ripetitivo, infatti, non si nota più, è come l'acqua ogni volta diversa che lo stesso fiume da sempre trasporta, finché non arriva una mano a raccoglierne per berla, a prelevarne una frazione e ad interromperne per un impercettibile istante il flusso, allora sì che sappiamo che è fresca e ci accorgiamo che è materia viva. Dare il nome alle cose non è inutile perché farlo

Patrimonio

Immaginiamo uno straniero che volesse imparare l'italiano e che si imbattesse in queste parole: 'patrimonio' e 'matrimonio'. Volendo risalire all'etimologia dei due termini, per prima cosa ne noterebbe non solo l'assonanza, ma che la loro parte finale è addirittura identica. Successivamente - questo straniero è davvero pignolo - ne prenderebbe in esame gli elementi iniziali, 'patri-' e matri-', quelli grazie ai quali le due parole si distinguono fra loro, diventano differenti, divergono. Divergono, appunto, ma fino a che punto? Nel caso di 'patrimonio' e di 'matrimonio', il divergere dei significati non si limita alla differenza constatabile, ad esempio, in parole affini come padre e madre o al genere, come accadrebbe se parlassimo di destra e di sinistra o di maschio e di femmina. La distinzione va molto oltre, invece, fino a spingersi a riferimenti che con i significati originari non hanno più niente a che vedere, tanto che oggi

La cipetta Penelope

Questo è ancora una volta un post sulla libertà e sulla felicità, ma per arrivare a parlare di questi due argomenti occorre fare, di nuovo, una lunga premessa animalista. Mercoledì 6 giugno, a casa, dopo cena.  "Allora, cosa hai visto alla gita?". "Il gufo reale, il barbagianni, i cervi e la cipetta".  "La cipetta? Che cos'è la cipetta?".  "Come, non sai che cos'è la cipetta delle nevi? Non conosci la cipetta Penelope?". "No, non la conosco, non conosco nessuno con questo nome, anzi conosco una persona, la moglie di Ulisse, che aveva questo nome. Ma di cipette nemmeno una, né con questo né con altri nomi. Com'è fatta questa cipetta?".  "Ha le ali, quindi è un uccello, è grande quanto un gufo ed è bianca".  "Ma allora tu parli della ci-ve-tta, la civetta delle nevi".  "Sì, la civetta delle nevi Penelope".  "Ed è lei l'animale che ti è piaciuto più di tutti".  "Sì". Giovedì

Papà, perché moriamo?

Siamo stati allo zoo, domenica scorsa. Il posto dove ci sono gli animali nei recinti, quello che qualche tempo fa veniva chiamato, con un eufemismo, giardino zoologico e che ora, invece, ha preso il nome di Bioparco - fa più tendenza ultimamente, come tutti termini che iniziano con il prefisso 'bio' e che lasciano pensare a cose buone e giuste. 'Bio' come vita. Tuttavia, anche se sono recinti, sempre di gabbie si tratta, perché oltre quelli non si passa e non è possibile tornare nella savana o nella foresta amazzonica. E se gli animali qui si sono pure ambientati, è la vita strettamente biologica a essere costantemente disadattata, così come lo sono la sua dignità e il suo rispetto. Dirlo è la scoperta dell'acqua calda: è la libertà che manca, ma se volessimo in ogni caso scorgerne un'ombra, se proprio ci tenessimo a farlo, approderemmo facilmente alla banale conclusione che si tratta di libertà fortemente condizionata, di una concessione minima data da altri e

Il tempo dilatato dell'infanzia

Avrò avuto dieci anni, era estate e ovviamente faceva caldo, la sera arrivava tardi, restavo fuori fino all'ora di cena. Ricordo ancora quel cagnolino ferito, dietro a un cespuglio di rovi all'ora del tramonto, le formiche già sulla sua pelle, i guaiti deboli. "Lo porto a casa", chiesi di poterlo fare. "No, sta per morire", la risposta secca. La gamma delle possibilità, fantasie ottimistiche, quasi sempre, quelle di un bambino. Una frase concisa, una sola, la realtà senza appello di chi decide, spesso, anche la vita o la morte di qualcun altro. Ripenso a episodi come questo, ogni tanto, alla vista di una scena di tanti anni fa durata pochi minuti, infondo, ma intensa e più incisiva di molte altre, tanto da portare con sé, allora, sviluppi immaginari che andavano oltre le possibilità concrete del momento e tale da replicare nel ricordo e nel tempo, fino a oggi addirittura, e mi accorgo di quanto possa essere dilatato il tempo dell'infanzia, sia nella dire

I suoi occhi il più bel paesaggio

Più che viaggi, negli ultimi tempi abbiamo fatto qualche piccolo spostamento, altra aria e abitudini, anche se per alcune ore, al massimo una giornata. Per un poco, lontani dalla ripetitività dei giorni. Il bello del viaggio è la possibilità che offre, a chi lo compie, di cambiare vita. Visitiamo Paesi nuovi e pensiamo a ciò che saremmo potuti essere laggiù, la nostra esistenza sarebbe stata diversa, forse migliore, non lo sapremo mai. Una prospettiva nuova o un'illusione, raccolta nell'arco di un giorno, iniziata al mattino e terminata la sera, nel momento stesso del ritorno, evanescente come l'acqua ma ancora nelle mani, fra le dita bagnate per un ultimo istante. Osservi bene un'altra volta questa nuova possibilità, prima che scompaia per sempre, e improvvisamente sai che è bella, come qualsiasi cosa che dura un secondo e che adesso non c'è più. Eppure c'è ancora, nel ricordo o nell'idea. E' la stessa cosa che succede con le fotografie, sono quel che c

I pastori volano tutti senza ali

"Gavino è ancora troppo piccolo! Come potrà custodire le pecore e far paura ai banditi? La sua presenza sarà inutile... Qui imparerà a vivere prima di esporsi alla vita. Gli mancano ancora le penne per prendere il volo ". "Cosa ne sa lei della pastorizia? I pastori volano tutti senza ali". (Gavino Ledda, Padre padrone , Feltrinelli/Loescher 1978, p. 17) Ritengo lucidamente saggia - in questo libro trovato di recente su una bancarella - la risposta del padre-padrone alla maestra che cerca di difendere un bambino di sei anni: è ancora troppo piccolo per andare a lavorare - dice l'insegnante, spiegando al genitore che il figlio è del tutto impreparato ad affrontare il mondo e che la scuola serve proprio per 'rafforzarlo', per insegnargli "a vivere prima di esporsi alla vita", per farsi "le penne per prendere il volo".  Dopo averle raccontato tutti i motivi che lo obbligano a ritirare da scuola un figlio così giovane per obbligarlo a lavo

Fraternità

Sono dodici anni che mio fratello e io non viviamo più insieme, uno di qua e l'altro di là, ognuno col suo impiego e la sua famiglia. Lontani. L'ultima volta ci eravamo visti a Natale. Ieri è venuto a trovare me e i bambini, alcune ore passate in casa, un altro paio fuori, fra racconti di cose che riguardano la vita privata e il lavoro.  Tutto qui, nient'altro, a parte l'eloquenza di molti silenzi che dicono, a chi li ascolta, ciò che la sua stessa fantasia, sollecitata dal dubbio e dalla paura, è in grado di dettargli: domande, risposte, nuovi dubbi e ancora dubbi. Il silenzio ha la voce che gli diamo ed è con questa che ci parla, ma le risposte non sono chiarificatrici di alcunché, per la stessa e identica ragione e ansia per le quali le invochiamo.  Allontanarsi non significa altro che far risaltare, ancora di più, la solitudine, il senso di precarietà che fa parte della vita dell'uomo, addirittura l'emarginazione se, quando si va via, ci si porta appresso un

Dippold l'ottico

Che cosa vedete adesso?  Globi di rosso, giallo, porpora. Un momento! E adesso? Mio padre e mia madre e le mie sorelle. Sì. E adesso? Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili. Provate questa. Un campo di grano - una città. Benissimo! E adesso? Una donna giovane e angeli chini su di lei. Una lente più forte! E adesso? Molte donne dagli occhi vivi e labbra schiuse. Provate queste. Soltanto un bicchiere sul tavolo. Oh, capisco! Provate questa lente! Soltanto uno spazio vuoto, non vedo nulla in particolare. Bene, adesso! Pini, un lago, un cielo d'estate. Questa va meglio. E adesso? Un libro. Leggetemi una pagina. Non posso. Gli occhi mi sfuggono al di là della pagina. Provate questa lente. Abissi d'aria. Ottima! E adesso? Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo. Benissimo, faremo gli occhiali così. Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, Einaudi 1943, traduz. di Fernanda Pivano. (Questa poesia ispirò a Fabrizio De André la canzone  Un ottico).

Una felicità senza tempo

Se vorrò farlo continuare a esistere, prima o dopo dovrò decidermi a trasformare questo blog in un diario esclusivamente fantasioso. Dodokko cresce, fra poco imparerà a leggere e a scrivere e allo stesso tempo diventerà più indipendente, sempre meno bambino e un po' alla volta più adulto. Man mano che aumenterà la sua consapevolezza delle cose che fa e la sua coscienza di sé, io perderò il diritto di descrivere la sua vita privata, rendendola pubblica: le sue azioni apparterranno sempre più a lui e un giorno non lontano ne sarà il solo responsabile.  Nel rispetto del figlio vero, comincio proprio oggi a inventare un Dodokko, a essere sincero, non del tutto nuovo, frutto non esclusivo della fantasia: ogni invenzione, infatti, anche il volo più stravagante e assurdo dell'immaginazione, si sa, ha i piedi in terra, è composto da ogni possibile riferimento alla realtà, basta scavare e si trovano le radici sotto al suolo. Ora, l'abilità di chi racconta sta nel non farle scorgere,