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"I bambini non si portano via, ma vanno ascoltati"

Tante parole superflue, sia nelle accuse che nelle giustificazioni.  Troppa violenza gratuita, anche dopo il fatto e - immagino - pure prima.  Nessun rispetto, nessuna pietà, nessuna mano sulla coscienza. Ripeterò soltanto questo: "I bambini non si portano via. I bambini vanno ascoltati".

Il piccolo Zorro

Domenica ho avuto l'onore di fotografare Zorro bambino: sulle spalle ha un mantello fatto con un avanzo di tenda rossa, un foulard nero con due buchi per gli occhi è la sua maschera, il cappello è di paglia rosa e lo ha preso in prestito da sua madre, mentre ciò che resta della spada, dopo mille duelli, è soltanto l'impugnatura, il paracolpi e un moncone di lama di plastica rattoppato con lo scotch da pacchi. Il piccolo Zorro non ha ancora il cavallo, c'è bisogno che lo scriva? Tutta la sua dotazione di spadaccino mascherato è fatta di oggetti trovati in casa...e anche questo si era capito.  Ma voi avete visto, oltre la maschera, la felicità degli occhi che guardano verso la spada, più in alto delle fronde dei pini?  Giocare è sognare e per me non esistono altri eroi che questi sognatori impavidi, capaci di avventurarsi in California nel bel mezzo di una passeggiata sotto casa, per combattere contro gli arroganti e difendere gli oppressi. E vincere, naturalmente.

Il ritorno

Ancora sulla felicità, sono su questa scia di riflessioni in questi giorni. Credo che questa non sia altro che il ritorno presso qualcosa che abbiamo conosciuto una volta e che abbiamo creduto bello o che oggi ricordiamo come tale. È chiaro, per essere felici non cerchiamo necessariamente di tornare negli stessi posti che abbiamo visto da bambini o di assaporare gli identici gusti di un tempo. Tutto è cambiato, lo sapevamo già, e forse quei luoghi non esistono più. Ma per quanto ce ne siamo allontanati, l'infanzia resta un paradigma, un punto di riferimento costante per tutta la vita. 'Autenticità', è questa la parola che mi viene in mente quando penso al desiderio di voler tornare alle cose che da piccoli ci hanno resi felici. Tuttavia, quanto è poco credibile, da adulti, questa parola: da bambini - potremmo obiettare - era più o meno tutto ovattato, che ne sanno i ragazzini di ciò che è autentico? La realtà, e lo scontro con essa, è quella che viviamo noi, non la loro, e

La felicità

Una di quelle domande a cui, su due piedi, non si sa come rispondere: "Papà, che cos'è la felicità?". L'argomento è talmente soggettivo, uno può essere felice per qualcosa che magari non interessa affatto a un altro o che quest'ultimo addirittura disprezza. E allora, che raccontare a un figlio, che per me la felicità è l'occasione di un sorriso, tanto inaspettato quanto improvviso, che può capitare un giorno qualsiasi nel bel mezzo del trambusto assurdo dell'esistenza? Oppure, che la felicità è quando si accorcia la distanza, quasi sempre insormontabile, fra il dove sono e i tanti dove vorrei essere? Dirgli, per esempio, che non mi basta il tempo che ho per fare ciò che vorrei? Che la vita assieme è soltanto lo scarto, solamente questo, di ciò che ci resta al termine della giornata? Parlargli della mia infelicità, un sentimento in definitiva non più grande, né avvertito con più forza, di quello di ogni altro essere vivente, ma che rimane pur sempre il solo

La mela rubata

A volte ho l'impressione di non andare troppo lontano. Di viaggiare e, allo stesso tempo, di restare ai nastri di partenza. Vi sono cose che si ripetono, a distanza di generazioni. I figli che rifanno le cose già fatte dai genitori e questi ultimi che hanno già riprodotto una realtà che li aveva preceduti. E' tutto un girare intorno, mi pare, e credo sia inutile farsi illusioni di progressi storici o, almeno, generazionali. Anche se indubbiamente esistono delle variabili e i contesti mutano, quel che conta è l'imprinting, e questo è innato o quasi, ed è come gli occhi della madre che per la prima volta incontrano quelli del figlio appena nato e vi si piantano dentro, mettendo delle radici che subito scavano e vanno a terminare chissà dove, nella terra come nell'anima. Assieme a certe doti, ci hanno trasmesso - e a nostra volta regaliamo generosamente - il ripetersi degli errori e, anche quando ce ne accorgiamo e saremmo in tempo per metterci in salvo, non sappiamo evita

Il racconto del mare

Qualche settimana fa è volato sulle stelle Neil Armstrong, il primo uomo ad aver messo piede sulla luna, l'astronauta del celebre commento: "Un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l'umanità". C'è chi ha messo in discussione, con prove 'schiaccianti', l'allunaggio del 1969 e chi invece non ha mai dubitato che l'Aquila della missione Apollo 11 abbia effettivamente posato gli artigli sulla base della Tranquillità. Tutto ciò mi importa ben poco, perché, se è indubbio che calpestare il suolo lunare, se ciò è veramente accaduto 43 anni fa, sia stata un'impresa senza precedenti, penso che di cose straordinarie, di piccoli, grandi passi se ne compiano tutti i giorni e, senza spingersi troppo lontano, anche sulla terra, dove la vita è sufficientemente complicata e non è per niente paragonabile a una linea retta oppure circolare - come pensano i tanti che credono che tutto sia programmabile e dunque immediatamente attuabile, la realtà

Fermati un momento

Un momento non è uno qualsiasi degli istanti che, tutti quanti, in successione, prima uno poi l'altro, compongono il nostro tempo, ogni ora e ogni anno della nostra vita. Il momento è invece questo: prendere una direzione e poi fermarsi, improvvisamente, senza una spiegazione plausibile o, almeno, apparente. Fermarsi e tornare indietro, andare esattamente dall'altra parte, addirittura, di punto in bianco. Il momento è quando l'orologio si rompe e le lancette restano inchiodate su un quadrante bianco alle 10 e 29, fisse a quell'ora per un tempo indefinibile quanto l'eternità. Il momento è fissità, per noi mortali, e non movimento. E dato che siamo umani, non possiamo evitare di chiederci, pur sapendo in partenza di non avere risposte, cosa passerà per la testa a chi cambia idea tanto repentinamente, perché lo fa, che cosa ha visto. E' perfettamente inutile farsi questo genere di domande. Il bambino ha preso la strada in discesa ma poi, senza preavviso, è tornato

Tre discorsi sul bene

Adesso che la nonna non c'è più, voglio parlare di tre pensieri che mi sono venuti in mente durante la sua malattia. Il primo riguarda il ricordo, il secondo la morte, l'ultimo la continuità. Si tratta di tre argomenti diversi, ma ciascuno di essi è riconducibile a un'idea di bene. Quando se ne vanno, le persone che ci hanno voluto bene e alle quali ne abbiamo voluto ci lasciano in regalo un buon ricordo. Credo che sia soltanto questo ciò che ci resta degli altri: accettiamo di prolungare dentro di noi la loro vita, seppure per un momento minimo, breve quanto la durata della nostra. Penso che l'eternità non sia altra cosa, diversa dalla memoria, purtroppo, a meno di non immaginare le persone in termini meramente 'chimici', alla Lavoisier. Anche se non credo che il filosofo francese, quando si è trovato con la testa sulla ghigliottina, abbia trovato conforto nella sua teoria dell'indistruttibilità della materia. Il secondo pensiero è una critica alla classica

Nonno ti ama

"Nonno ti ama", ha detto Dodokko alla nonna. "Mi chiama?", gli ha chiesto lei. "No, ti ama. Ti ama", ha ripetuto il bambino. "Non vedi come ti abbraccia e come ti aiuta a camminare?". Parole e frasi dimenticate e che, dopo tanto tempo, forse non ha più senso dire. Quando esistono, sono le azioni a sostituire la voce. E se all'improvviso quella voce, a distanza di anni, si sente di nuovo, quasi si stenta a credere alle proprie orecchie. Tutto ciò che un bambino dice ha il sapore della novità e non è affatto vero che è superfluo parlare di cose che sono evidenti. Ciò che è ripetitivo, infatti, non si nota più, è come l'acqua ogni volta diversa che lo stesso fiume da sempre trasporta, finché non arriva una mano a raccoglierne per berla, a prelevarne una frazione e ad interromperne per un impercettibile istante il flusso, allora sì che sappiamo che è fresca e ci accorgiamo che è materia viva. Dare il nome alle cose non è inutile perché farlo

Patrimonio

Immaginiamo uno straniero che volesse imparare l'italiano e che si imbattesse in queste parole: 'patrimonio' e 'matrimonio'. Volendo risalire all'etimologia dei due termini, per prima cosa ne noterebbe non solo l'assonanza, ma che la loro parte finale è addirittura identica. Successivamente - questo straniero è davvero pignolo - ne prenderebbe in esame gli elementi iniziali, 'patri-' e matri-', quelli grazie ai quali le due parole si distinguono fra loro, diventano differenti, divergono. Divergono, appunto, ma fino a che punto? Nel caso di 'patrimonio' e di 'matrimonio', il divergere dei significati non si limita alla differenza constatabile, ad esempio, in parole affini come padre e madre o al genere, come accadrebbe se parlassimo di destra e di sinistra o di maschio e di femmina. La distinzione va molto oltre, invece, fino a spingersi a riferimenti che con i significati originari non hanno più niente a che vedere, tanto che oggi