Per sopravvivere, l'uomo non ha bisogno soltanto di sentirsi a posto con la propria coscienza, ma anche di mangiare. Per questo, ha inventato la pasta alla Norma...
Faccio il verso al post precedente, invertendo i termini della prima frase - ma tanto il senso non cambia -, nel tentativo di alleggerire, pur riparlandone, temi quali l'autoassoluzione e l'assenza di contenuti nelle frasi tipiche degli slogan, descrivendo uno dei miei piatti preferiti, non solo perché è squisito, ma perché simboleggia l'unità di ciò che è separato ed è una preparazione schietta e sincera, proprio come piace a me: non è una ricetta furba, che prende in giro chi la gusta o vuole convincere della propria bontà ricorrendo a sofisticazioni superflue.
La pasta alla Norma è una vera e propria sinfonia - d'altronde, il suo carattere musicale è annunciato fin dal nome che, non a caso, è ispirato all'opera omonima di Vincenzo Bellini -, è un accordo armonico di sapori che sono distinti e allo stesso tempo legati fra loro. Gli elementi che la compongono sono la pasta - personalmente preferisco escludere spaghetti, linguine e simili e privilegiare invece rigatoni e fusilli -, i pomodori datterini o ciliegini, l'aglio, il basilico, la ricotta salata e le melanzane. Ciascuno di questi ingredienti deve essere cotto separatamente dagli altri e la preparazione va composta direttamente nel piatto, a eccezione della sola pasta, che dev'essere saltata nel sugo di pomodorini un momento prima dell'impiattamento.
Quindi, pasta e pomodorini si versano nel piatto e si aggiunge il basilico fresco, in abbondanza, la ricotta grattugiata o a scaglie e le melanzane fritte. Non si mischia, signore e signori, non c'è trucco e non c'è inganno, i sapori devono restare separati e riconoscibili, guai soltanto a pensare di mantecare in padella la pasta con tutti gli altri ingredienti. Già la vedo la stracciatella di melanzane in un sugo opaco tendente al marrone, striato dal bianco della ricotta e punteggiato da foglie di basilico oramai nere. Per carità, fare questo errore sarebbe imperdonabile: in un concerto si devono poter riconoscere, distintamente, tutti gli strumenti musicali.
Il grano della pasta deve mantenere ancora il profumo e il colore dell'estate. I pomodorini sono dei microcosmi di sapori e hanno lo stesso equilibrio di dolcezza, sapidità e acidità del sole, del mare e della terra in cui sono cresciuti. Le melanzane devono essere nere e aver spurgato con il sale il loro retrogusto amaro prima di essere fritte. Devono restare croccanti, non essere scioglievoli, rappresentano l'elemento in più, l'ingrediente apparentemente estraneo, sono la firma del cuoco, l'autenticazione del piatto. Del basilico non si gusta il sapore, bensì il profumo e il colore. La stessa cosa si dica dell'aglio nel sugo, è una semplice nota nella sinfonia, nulla di più che un odore. La ricotta salata dev'essere ancora candida, è il vento salmastro che soffia la sera nei posti di mare, non inquina il piatto ma gli dà nuovo respiro, ne spezza e ne ricompone la struttura, lo vivifica.
Non dev'esserci confusione, ma armonia, perfino in una ricetta di pasta che, mostrando apertamente i propri ingredienti, riesce a dialogare con chi la degusta, spiegandosi alla perfezione, rispondendo a ogni domanda e facendosi comprendere con grande chiarezza.
È la pasta alla Norma, e dovrebbe essere anche la norma per qualsiasi semplice spiegazione. Anche con un piatto così, si appaga lo stomaco e si salva la coscienza.
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