Non ho mai visto una panchina che di notte si schiodi dal terreno e se ne vada in giro per il parco. Eppure, nelle assi dilatate dalla pioggia e bruciate dal sole leggo un volto che ha rughe di legno, lisce grazie a uno scultore che non usa scalpelli e lime, ma la forza del tempo e dell'attesa. E che è bello accarezzare con la mano della memoria. Saranno passati almeno dieci anni da quella sera di ottobre. Eravamo più giovani e al culmine della felicità, ma con nell'animo un vago e infondato presagio di caduta. Tu sei andata via e non sei più tornata, né io ti ho aspettata. La panchina era ferma al suo posto già prima di noi. Ed è ancora lì, sopra l'erba ora verde e adesso gialla, indifferente al passaggio delle stagioni, di chi si siede o semplicemente le passa accanto. Ed è come se in tutto questo tempo nulla d’importante sia mai accaduto. Il legno adesso fa cr...
appunti di viaggio di Cristiano Camera