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Visualizzazione dei post con l'etichetta estate

Quattro spicchi di pomodoro

Quattro spicchi di pomodoro sono il ricordo più bello che conservo di mio nonno. Il frutto era tagliato in un piatto bianco, su una tovaglia dai fiori sbiaditi e distesa soltanto a metà: tutto ciò che restava, accanto a una fetta di pane, di una cena solitaria. Era condito con un pizzico di sale, un poco di olio di oliva, un pezzetto di aglio e una spolverata di origano, di quello che soltanto al sud si trova ancora in mazzetti e dal profumo talmente intenso che, ogni volta che lo usavamo, mia nonna ci avvertiva: "poco, ch'ammarìa" ("mettetene poco, altrimenti il cibo diventa amaro").  Mia nonna mescolava con le mani l'insalata di pomodori, appena prima di mettere l'olio, e quel semplice piatto non era soltanto un contorno ovvero qualcosa che si può fare anche a meno di mangiare: ogni ingrediente aggiunto era un'attesa, significava un'intenzione, rappresentava una cura con la quale accudire e far stare bene gli altri. Sono certo che fosse l'e

La torpedine

Alcuni fatti assumono la portata che meritano solamente anni dopo che sono avvenuti. Molti di essi, invece, appena pochi minuti più tardi. In entrambi i casi, ci rendiamo conto delle conseguenze quando ormai non si può tornare indietro. Se il proiettile di una pistola colpirà un uomo nell'istante in cui questi si troverà sulla sua traiettoria, non ha più senso pensare di sabotare l'arma oppure di spingere il bersaglio un centimetro più in là, dove si salverebbe, quando il colpo è partito. Non c'è molta distinzione fra il prima e il dopo, e la morte è già sopraggiunta quando il grilletto ha fatto clic, non quando il piombo ha trafitto il petto.    La torpedine è un pesce che emette delle scariche elettriche per immobilizzare le prede. Non depone uova, ma è vivipara. Avrò avuto sedici anni l'estate in cui ne pescai una col fucile da sub di mio padre. La portai a riva ormai morta e, mentre l'adagiavo sul bagnasciuga, notai che dalla cloaca fuoriusciva un liquido rosace

Papà, chi ti ha insegnato ad andare in bicicletta?

Temuto e atteso, allo stesso tempo e nonostante tutto. E' giunto, infine, il momento.  Preannunciato e celato, senza alcuna intenzione, questo è ovvio, dalla banalità di un'altra domanda densa di conseguenze: "Papà, chi ti ha insegnato ad andare in bicicletta?".  Una risposta scontata e, subito dopo, la Domanda. Ancora una risposta...una mezza giustificazione...il cielo, gli angeli...che altro dire? "Ma in cielo non stavano soltanto i bambini, prima che nascessero?". "Anche dopo si va in cielo". Oppure si resta sempre sulla terra, che in fin dei conti è anch'essa un astro... Fra il prima e il dopo, fra l'inizio, prima di tutto, e la fine, dopo che tutto è accaduto, c'è semplicemente la vita. La mia, la tua, la nostra vita. Non c'era niente prima, non ci sarà nulla poi. Solamente un buio totale esiste e non so nemmeno quanto sia giusto dire che il buio, il niente, esista. A parte la nostra testimonianza, ora, i nostri ricordi di oggi

La fine di qualcosa

Io non se esista e, comunque, non conosco la parola che sappia descrivere il mio stato d'animo, quando mi rendo conto che qualcosa è (già) finita. Uso non a caso il generico "qualcosa", perché questo mio sentimento senza un nome è comune a una gran quantità di situazioni poco o molto importanti, più o meno valide. Insomma, non è questa o quella vicenda a turbarmi, ma semplicemente la sua conclusione.  Come a dire che la scena più triste del film sono i titoli di coda dopo la scritta "The end", la musica di sottofondo mentre le prime, tenui luci incominciano lentamente a riaccendersi in sala, gli spettatori col groppo alla gola, che riprendono colore dal buio in cui erano immersi, alcuni seduti ancora per un po', gli altri che si rivestono senza riuscire a staccare gli occhi dallo schermo. E poi, mentre escono, intanto che tornano a casa, la mente ancora lì, fra le scene appena viste, fra i paesaggi e i dialoghi e le vite di altri, nelle quali sono entrati, i

La parte più felice della vita

"Adesso partiamo per il mare. Ci divertiremo. Ma poi, quando torniamo, ricordati che dovrai andare all'asilo". Prendo spunto da una frase sentita dire da una madre al figlio alla vigilia delle vacanze per fare qualche riflessione. Il periodo della spensieratezza, della mancanza di impegni onerosi e di pesanti responsabilità, la parte dell'esistenza che da grandi si ricorda come la più felice : quella della fanciullezza dovrebbe essere davvero la stagione più bella, per ogni persona, bambina e adulta. Un'estate eterna oppure, leopardianamente, un sabato a cui mai debba seguire una domenica anticipatrice dell'inizio di una nuova settimana di fatiche o di noia. Un momento infinito che non sia mai, nemmeno con la fantasia, minimamente precursore del mondo che appartiene agli adulti.  Dovremmo lasciar giocare i bambini e godersi il proprio tempo, senza dar loro pensieri per il futuro, preoccupazioni per un'età che ancora non hanno. Dovremmo consentire loro di v

Alla luce del sole: 'il paradosso del padre'

"La libertà dei bambini, che in vacanza ha l'opportunità di esplodere ma che spesso finisce per essere soffocata dagli adulti, da chi ha dimenticato ormai da tempo cosa significhi essere e sentirsi liberi". Ho parlato di libertà e di educazione impartita da chi per primo è maleducato nel mio recente post Alla luce del sole . E ho scritto di persone ignoranti, che di nascosto oppure palesemente (la sostanza non cambia) assumono comportamenti irrispettosi nei confronti del prossimo e della natura, gente alla quale, data l'età e in quanto considerata 'matura', nessuno può eccepire alcunché o dare lezioni di buona condotta.  Riguardo ai bambini, invece, tutto cambia e qualsiasi adulto può esprimere apertamente la propria opinione, dando loro lezione di moralità anche rispetto a comportamenti fisiologici, come, ad esempio, quello citato di fare la pipì sulla spiaggia. Tutto ciò farà sì che da grandi i bambini di oggi si comporteranno esattamente come fanno i signor

Alla luce del sole

Una vacanza è, per definizione, tale quando ci si senta liberi dalle occupazioni consuete e dal tran-tran quotidiano: il lavoro, la casa, il traffico, in una parola, la routine di tutti i giorni. Sentirsi liberi invece di esserlo  veramente, perché la libertà assoluta dagli impegni credo sia impossibile da ottenere, a meno di non peccare di un altissimo grado di incoscienza, di una cecità totale di fronte a ciò che ci sta intorno e che non scompare, ahimè, nemmeno in vacanza.  Sono molti anni, tante estati di seguito, che non solo non sono libero in vacanza, ma anche che non mi trovo in questo fortunato stato mentale: per tanti motivi e anche per colpa mia, per il mio carattere, per una certa insoddisfazione, per il caldo, per la tanta, troppa gente attorno. Ma non è della mia libertà che voglio parlare, ma di quella delle persone che d'estate si ha la fortuna e la sfortuna di osservare, alla luce del sole e all'ombra degli ombrelloni. E soprattutto della libertà dei bambini, c

L'inverno e la fine dell'estate

E' l'estate la stagione più brutta, la più attesa ma anche la più deludente. Quella che ti lascia l'amaro in bocca, perché non fa in tempo ad arrivare che è già finita. Non è l'autunno, come tutti pensano, con le foglie che cadono dagli alberi e la pioggia, e nemmeno l'inverno, col vento gelido e il raffreddore.  E' un po' di tempo che ho questa idea fissa sull'estate: il periodo con i mesi più caldi, quelli delle vacanze e del tempo libero, dei viaggi e del mare, delle giornate lunghe da vivere all'aria aperta. Eppure, nonostante ciò, arriva sempre, una sera di fine agosto a tradirti, improvvisa, una brezza fredda che ti colpisce alle spalle e che ti coglie alla sprovvista sul far della sera, magari mentre sei assorto a contemplare un tramonto. E' in quel preciso istante che ti accorgi di quanto i giorni siano ormai diventati corti, di come tutto si sia ormai compiuto, che è l'ora di ritornare a casa. E' in quel momento che ti rendi cont