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Prove di dialogo

Due figli: uno che fra poco compirà quattro anni e l'altro di quasi quattro mesi. Come parlano i bambini a queste diverse età? E come dialogano fra loro? E' divertente osservarli mentre provano a comunicare verbalmente. Il più grande è ormai capace di sorprendere anche gli adulti con l'ampio uso di congiuntivi di cui si serve nei suoi discorsi, pratica evidentemente non troppo diffusa fra le persone che ci girano intorno e che lo ascoltano parlare. Uno degli ultimi commenti da parte di un suo interlocutore è stato: "Dodokko usa un linguaggio troppo forbito, da adulto". Addirittura! E dire che fino a pochi mesi fa, periodicamente, mio figlio aveva presentato dei problemi di 'disfluenza', un fenomeno transitorio, normale e diffuso nei bambini attorno ai tre anni, simile alla balbuzie e dovuto a una sorta di ingolfamento dei pensieri nel momento in cui dovrebbero prendere voce. In pratica, sembra che il cervello, a questa età, sia capace di comporre pensieri

La freccia e l'arciere

La posa era quella plastica di un arciere greco raffigurato su un qualche vaso di terracotta del V secolo avanti Cristo: così ho trovato il mio figlio più piccolo ieri, al mio ritorno a casa. Addormentato nella sua culla, il corpo disteso sul fianco sinistro, la testa inclinata all'indietro, il braccio su cui poggiava il busto tutto teso in avanti, impegnato a impugnare un ipotetico arco, l'altro invece piegato all'altezza del collo, a tendere la corda su cui ballava una freccia. Un arco e una freccia immaginari e poi, solamente dopo, lui... Dov'era dunque l'arciere nel momento in cui il sonno lo aveva catturato? Dove lo avevano condotto i suoi sogni? Non era fatto di tenebra il suo dormire, perché un bel sorriso evidenziava una felicità soddisfatta, come se stesse seguendo con gli occhi una concatenazione di avvenimenti nota, priva eventualmente di cattive sorprese.  Mio figlio non era l'arciere che dormiva beato, ma era la stessa freccia da lui appena scagliat

Così fiorisce un sorriso

I neonati apprendono da noi il sorriso, osservandoci mentre a nostra volta sorridiamo, oppure il loro è un modo innato di comunicare il proprio benessere? Me lo sono chiesto per la prima volta qualche tempo fa, guardando il mio secondogenito di pochi mesi che stirava le labbra mentre gli cambiavo il pannolino. Adesso invece sorride sempre, appena si sveglia, al mattino, invece di piangere per la fame, di colpo come faceva prima. E' così rilassato dopo il sonno che riusciamo a prenderci anche una mezz'oretta per giocare insieme prima della poppata. E tra uno scherzo e un verso che ci facciamo, ci scappa sempre un sorriso o addirittura una bella risata.  E quindi, in questi giorni in cui stiamo bene, sono tornato a farmi la domanda se i bambini il sorriso lo imparino da noi oppure se faccia parte del bagaglio col quale vengono al mondo. Non ho ancora una risposta al quesito e so che la cosa importante è la felicità che manifestano, più del modo e del perché la esprimono. Eppure,

I morti ci guardano: sono stelle i loro occhi

"I morti ci guardano: sono stelle i loro occhi". Mi disse proprio questa frase, molto tempo fa, una mia nipotina che allora aveva appena tre anni. Lo fece mentre osservavamo dal giardino di casa sua un cielo scuro, punteggiato da una miriade di astri bianchi. Era proprio così quel cielo: nero e chiazzato, non illuminato da quelle stelle che non disperdevano sprecandola la loro luce nell'universo, ma che invece ne proiettavano i raggi dritti, come un dono di luce, esclusivamente verso gli occhi di chi le guardava. Era estate, una calda sera del sud, ma le parole della bambina mi gelarono il sangue. Che poteva saperne lei, alla sua età, della morte? Chi mai le aveva fatto il racconto che mi aveva appena riferito? Sono passati almeno quindici anni da allora e da quando a Dodokko leggo le favole ho sempre sorvolato sul sostantivo "morte". Ultimamente però non censurò più e se nel libro c'è scritto che "la strega cadde dalla rupe e morì", gli dico tutta

Linea di confine

Ho preso la rincorsa, ho chiuso gli occhi, ho sollevato le gambe ed è iniziato il volo. L'aria e la polvere sulla faccia, l'accelerazione del battito, la contrazione dei polpacci, le scapole slogate, sono caduto in piedi, oltre il fossato. La mia infanzia è sparita così, in un attimo, dall'oggi al domani, tanto tempo fa, quando ero ancora un adolescente. C'è stato quell'ostacolo improvviso, non previsto, per superare il quale occorreva la forza di un uomo, non quella ridicola di un bambino, e l'ho fatto, senza pensarci tanto: ho cominciato a correre e da allora non mi sono più fermato. E sono stato talmente indaffarato nella corsa, in tutto questo tempo, che ho tardato ad accorgermi di un sole ormai sparito dalla mia vista: un tramonto niente affatto da cartolina e di cui non sono stato spettatore.   Ventitré anni dopo esserlo diventato, soltanto oggi so di essere un uomo: ho oltrepassato la linea di confine e da questa nuova, già vecchia frontiera mi giro a gua

Passaggi

"Passaggio": mi gira per la testa questa parola oggi, mentre sono in viaggio su un treno metropolitano, che ogni cinque minuti passa e si ferma in una stazione sempre diversa ma tutte le volte così uguale a quelle che l'hanno preceduta. "Passaggio": un termine che mi fa pensare al tempo per due motivi. Il primo, il più ovvio, è che, per passare da un punto a un altro, un oggetto ha bisogno di tempo. Fosse pure di una frazione di secondo, il passaggio avviene in uno spazio e impiega un certo lasso di tempo per compiersi. Il secondo ha a che vedere con la connotazione che il termine "passaggio" assume con l'età: quello dei bambini è un tempo che va a rilento e che non corre, come invece fa quello degli adulti. Ma dirò di più: i bambini non pensano affatto al passare del tempo o, perlomeno, non approfondiscono quel barlume di pensiero che ogni tanto può far capolino nei loro cervelli.  Quando ero bambino, il passaggio per me non era per niente tutto q

Voglio veder volare un aquilone

"Il suo corpo nudo contro la notte, contro i miei fantasmi. E' più in alto di me, è ferma e lucente come una statua di bronzo. E quel pensiero mi raggiunge come l'unico che esista. - Facciamo un figlio. L'ho colta di sorpresa. Sorride, sbuffa dal naso, alza le sopracciglia, si gratta una gamba, una sequenza di piccole manifestazioni di disagio. - Fatti togliere la spirale - Stai scherzando? - No. E sento che vorrebbe non aver capito. Siamo marito e moglie da dodici anni, e non abbiamo mai sentito il bisogno di qualcosa che si aggiungesse a noi. - Lo sai che non ci credo... - In cosa non credi? - Non credo nel mondo Cosa stai dicendo? Che mi frega del mondo, di tutta quella carne anonima. Sto parlando di noi. Del mio piccolo uccello, della tua piccola cosa. Sto parlando di un puntino. Di una lucciola nel buio. - Non me la sento di mettere un figlio in questo mondo... Ti stringi le gambe, ti fai piccola e vorresti essere uno scarafaggio per andartene via lungo il muro. E

Cosa combina Gesù Bambino?

Sulla strada verso casa, al ritorno dalla passeggiata e dalla spesa, sabato mattina Dodokko e io passiamo davanti a una chiesa. Mio figlio riconosce subito il cancello anonimo che, prima di immettere nell'edificio, fa compiere ai fedeli un lungo giro all'interno di un giardino, e mi dice, testualmente: "Papà, andiamo a vedere cosa combina Gesù Bambino?". E così entriamo nel luogo sacro: una grande sala rettangolare, con due file di sedie a quell'ora vuote e inginocchiatoi reclinabili, separati da un corridoio centrale che dalla porta va dritto verso l'altare. Anche se non disturbiamo con la nostra presenza, Dodokko mi consiglia saggiamente di parlare in silenzio mentre lo percorriamo velocemente, ma vicino alla lastra di marmo, dove non c'è nessuno a officiare la messa, c'è soltanto una statua di San Nicola e un Gesù crocifisso. Nessun Gesù Bambino, nemmeno ai lati delle navate, neanche un ritratto su quei muri azzurro-grigi. Soltanto le scene consuet

E lo chiamano disordine

Hai gettato sul letto i tuoi vestiti, alla rinfusa. Quelli sudati con cui hai corso tutto il giorno. E sei andato velocemente di là, ad aprire il libro che ti hanno appena regalato. C'è chi penserebbe subito al disordine. Ma è impazienza la tua. Sei concentrato su te stesso e la tua mente ha spazio per una sola idea alla volta. Un unico pensiero, per un solo istante, anche se spesso rapidamente rimpiazzato da un altro che ti fa dimenticare il primo.  Un pensiero per volta. Tanti pensieri, ravvicinati e che si autoescludono. Non è disordine, quello dei bambini, né confusione. Ma concentrazione che, per quanto duri, in quel tempo non può avere occhi per altro. E' il tempo vissuto nella sua pienezza, un dialogo a tu per tu col proprio mondo dove non esistono altri interlocutori. E' un tempo invidiabile quello dei bambini. E i loro pensieri, anche se non hanno un ordine 'logico', non sono disordinati. Il loro tempo non è prestabilito e non è fatto di scadenze, di 'p

Esiste un modo migliore per crescere i figli?

Tiro le somme, dopo l'esperienza dell'ospedale: Dodokko non lo manderemo più all'asilo fino a settembre. Abbiamo deciso di fare così per rafforzarne la salute, dato che lì si ammalava in continuazione. Vorremmo che non prendesse nemmeno un raffreddore, almeno fino alla fine dell'estate. Nel frattempo, siamo alla ricerca di una persona che venga a casa e che si occupi dei bambini assieme a mia moglie, fino a quando lei non dovrà riprendere il lavoro dopo il periodo di astensione per maternità. Dall'autunno in poi, mentre noi genitori saremo al lavoro, questa persona dovrebbe badare soprattutto al neonato ed eventualmente anche al primogenito, quando per qualsiasi ragione non dovessimo mandarlo a scuola per un certo periodo. Questa persona comporterà dei costi. Non solo economici, ma soprattutto legati all'accettazione, da parte nostra, che sia lei - e non noi - a seguire per un bel po' i nostri figli. Anche questi ultimi dovranno farsi carico di tali costi, p