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Sesta lettera: chi sono io per giudicare?

Ogni nostra espressione, qualsiasi pensiero ci salti per la testa, qualsivoglia scelta possiamo compiere contiene un giudizio, una valutazione, una nostra considerazione riguardo qualcosa che è altro da noi. Perfino una semplice asserzione, pensata o detta, è un giudizio, dal momento che contiene un soggetto e un predicato: è un discorso logico, ma anche molto concreto. Non possiamo proprio esimerci dal giudicare e, insieme, dall'affermare e dal negare contemporaneamente. In termini molto semplici, se dico che una cosa è bella, sostengo allo stesso tempo che essa non è brutta: sono i limiti del giudizio, più che evidenti nella parzialità logica nella quale agiscono. Affermo, giudico e, nel farlo, nego una varietà consistente di implicazioni. Il giudizio non è mai imparziale, perché chi lo emana non è onnisciente e perché non può che rivolgersi soltanto a una fetta di mondo. Ed è relativo, perché si basa solamente su ciò che si prende in considerazione, tralasciando una serie infini

Quinta lettera: ricevere (in prestito) e restituire

Tanto tempo fa sentii questa frase che mi colpì molto e che suona più o meno così: "Tutto ciò che possediamo lo abbiamo ricevuto in prestito". Ancora oggi non mi sono fatto un'opinione netta riguardo questa affermazione. Non so decidere, infatti, se essere d'accordo oppure in contrasto, in particolare con le implicazioni che derivano da una simile posizione. Soprattutto alla luce di una cosa di cui, al contrario, sono assolutamente convinto, e cioè che tutto quel che abbiamo, preso in prestito o non, un giorno dovremo comunque restituirlo o, per lo meno, consegnarlo ad altri. Non credo che tutto, ma proprio tutto, ci venga dato o che lo riceviamo grazie al contributo di altre persone. Alcune cose, infatti, riusciamo a conquistarle soltanto per la nostra determinazione e con le nostre forze e capacità, spesso soltanto dopo essere riusciti ad avere la meglio su chi queste stesse cose non voleva cederle. In prestito o meno, domani daremo ad altri quel che abbiamo avuto i

Svegliatevi, mammine! (di Enzo Baldoni)

Ogni tanto, quando la cronaca me ne offre la triste occasione, ripenso a questo articolo di Enzo Baldoni, il giornalista ucciso in Iraq nel 2004. Parla di una storia personale di pedofilia e avverte i genitori di proteggere i propri figli da una categoria ben precisa di persone: gli uomini. Perdonatemi se vi racconto un’esperienza personale. Di quelle che non si raccontano volentieri. Ma sono convinto che vi servirà. E poi basta col silenzio su queste cose. Il silenzio è sempre colpevole. Dunque: c’era questa bambina deliziosa, di nome Gabriella. Alla sera le rimboccavo le coperte e le raccontavo strane storie: Ulisse, la corsa all’oro di Jack London, la follia di Orlando, la Genesi (con un’Eva bisbetica, un Adamo perplesso e un Dio pasticcione che diceva “Oh, cazzo, mi sono sbagliato, ho creato le pulci”). La domenica mattina passavamo ore nel lettone a ruzzolarci, a giocare, a ridere, a coccolarci. D’estate, quando faceva caldo, naturalmente eravamo nudi. Tra un viaggio di Ulisse e u

Quarta lettera: la paura di perdere qualcuno

È qualche giorno che mi abbracci più del solito e che ogni tanto mi dai un bacio, spontaneamente, senza alcun motivo particolare, addirittura senza che io stesso te lo chieda. L'ho notato e ti ho domandato, scherzando, "come mai ultimamente mi vuoi così bene?". Non mi hai risposto.  Poi, l'altra sera ti sei messo a piangere: volevi che dormissi con te. Ti ho chiesto cosa ti preoccupasse e tu, all'inizio, non volevi parlarmene. Poi, però, mi hai raccontato del brutto sogno che avevi fatto e del mostro che voleva catturarmi.  "Ma ci riusciva?", ti ho domandato. "No - mi hai detto - però il sogno non è finito e ho paura che continui stanotte". "Ma il mostro non riuscirà a prendermi, io sono fortissimo, più di Spiderman e di Superman messi insieme", ti ho assicurato. Mi hai guardato un po' scettico, ma non hai voluto contraddirmi. Mi sono sdraiato affianco a te fin quando ti sei addormentato, poi sono andato nel mio letto. La mattina

Terza lettera: l'uguaglianza

Avete sette e quattro anni e da un po' di tempo bisticciate spesso su ciò che è dell'uno e quel che appartiene all'altro. Non riuscite quasi mai a mettervi d'accordo, perché pensate che le cose scelte dall'altro abbiano un valore maggiore delle proprie. Continuate a litigare e allora decido io per voi: "Non ci sono cose tue e cose tue - vi dico -, tutto è di entrambi". E questa mia conclusione è chiaro che non vi soddisfi - desiderare la proprietà esclusiva delle cose fa parte della natura dell'uomo e forse, più dell'oggetto in sé, a interessarci davvero è il controllo che attraverso la proprietà possiamo avere su chi la stessa proprietà non ce l'ha e la desidera. Questa conclusione non fa parte soltanto del mondo degli adulti, ma riguarda anche i bambini, i quali, forse anche per questo motivo, quasi mai disdegnano il fatto di mettere in mostra ciò che possiedono di fronte ai compagni. E' per tale ragione che, qualche giorno fa, ho deciso

Seconda lettera: l'amore

Eri ancora piccolo, avrai avuto quattro anni, e un giorno ti arrabbiasti per un motivo che ora non ricordo e mi dicesti, perentorio: "Non ti voglio più bene". Pronunciasti la tua frase in un momento di rabbia e per un motivo probabilmente futile, ma che allora doveva apparirti come la ragione più importante del mondo, e sono sicuro che lo fosse, dato che le ragioni ci appartengono e possono essere grandi o piccole, come e quanto lo decidiamo noi. Ma lì per lì sorrisi e sdrammatizzai abbracciandoti e ingaggiando con te una finta lotta, dalla quale saresti uscito vincitore, come sempre. Cinque minuti dopo, infatti, eri di nuovo felice. E forse avevi già dimenticato il nostro litigio e la tua decisione di non amarmi più. Ma tu sapevi davvero cosa mi avevi appena detto? Ovviamente no, a quell'età non potevi. Probabilmente nemmeno oggi sai cosa sia il bene e anch'io, a dire il vero, non so molto dell'amore. L'amore, infatti, non è una cosa da sapere, ma un sentimen

Autunno

"Papà, perché le foglie sugli alberi si muovono?" "Perché le sposta il vento". "Papà, perché la luna non si vede?" "Perché è coperta dalle foglie e dalle nuvole". "Papà, perché il cielo ha quel colore rosso?" "Perché è illuminato dagli ultimi raggi di sole". (Dialogo di 30 secondi con il figlio piccolo, ieri per strada, in un tardo pomeriggio d'autunno, alla vigilia dell'allerta meteo scattata per oggi a Roma)

Prima lettera: la memoria

Stamattina sono andato a nuotare e, come sai, quando sono da solo, i pensieri solitamente confusi nella testa riescono a prendere una direzione a volte addirittura inedita. Non credo ciò dipenda soltanto dal fatto di spostarmi in un fluido, nello scorrere a mia volta in un ambiente instabile. Mi è sempre successo, infatti, che l'immaginazione prenda forma mentre sono intento a muovermi. Mi accadeva molto spesso quando ero più giovane, durante le mie passeggiate quotidiane pomeridiane. Per quanto mi riguarda, spostare il corpo, portarlo da un posto a un altro o, molto più abitudinariamente, muoverlo facendogli disegnare un cerchio e compiere un percorso, coincide con il portare avanti un ragionamento, dandogli un senso compiuto. Nuotare o camminare, sù e giù lungo un itinerario, nel mio caso non vuol dire altro che tracciare dei circoli sempre più concentrici che mi portano a sciogliere una matassa. Nuotavo, ti dicevo, avanti e indietro per i venticinque metri della piscina e, a un

E tuttavia in Italia c'è ancora gente spensierata

Mi capita sempre più spesso di parlarne quando incontro genitori con figli della stessa età dei miei. Di solito accade alle feste di compleanno a cui partecipiamo e mentre guardiamo distrattamente i bambini giocare: sono spensierati e forse è propro questo fatto a suscitare certe apprensioni. C'è la crisi in Italia, ma soprattutto c'è un senso di sfiducia ormai diffuso nei confronti di un'economia che non si solleverà più e di una classe dirigente a cui interessa soltanto seguire le indicazione che riceve dai propri gruppi lobbistici di riferimento e di cui rappresenta una sorta di alta manovalanza. E allora, fra noi genitori, che nemmeno ci conosciamo per nome, a volte ci diciamo che da questo Paese si dovrebbe andar via, perché tanto è destinato al fallimento: il lavoro, chi ce l'ha lo perderà presto, e la casa, chi ce l'ha sarà costretto a svenderla, di sicuro agli stranieri che verranno a far shopping nell'Italia in saldo che gli offriremo fra qualche anno. 

Bill Gates docet, ma la scuola deve formare persone libere

Stamattina ho letto su alcuni quotidiani on-line il decalogo che Bill Gates ha approntato per gli studenti della scuola superiore. Per il fondatore di Microsoft sono appunto 10 le cose che in classe non vengono insegnate e che dunque ha voluto sottolineare in occasione di una cerimonia di diploma davanti a migliaia di ragazzi. Eccole: 1 - La vita è ingiusta, bisogna abituarsi.  2 - Al mondo non importa granché della vostra autostima. Piuttosto, si aspetta che combinate qualcosa, prima di poterne gioire voi stessi.  3 - Non si guadagnano 60.000 dollari all’anno appena usciti da scuola. Non ci saranno telefono e auto aziendale per voi, se non ve li sarete guadagnati.  4 - La vostra insegnante è dura con voi? Aspettate di avere un capo.  5 - Lavorare in un fast food non significa “abbassarsi”. I vostri nonni chiamavano situazioni simili “opportunità”.  6 - Se fate qualche guaio, non date la colpa ai vostri genitori. Basta piagnucolare, prendetevi le vostre responsabilità e imparate dai vo