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Ti piace quando rido, papà?

"Ti piace quando rido, papà?". Me lo ha chiesto Dodokko domenica mattina, appena usciti di casa, mentre camminavamo su un marciapiede inondato dal sole. Gli ho risposto di sì, ovviamente: "Certo che mi piace - gli ho detto -. Anzi, dovresti sorridere sempre. Vorrei che fossi sempre felice e che non piangessi mai". Mio figlio ha cominciato subito ridere, appena dopo aver ascoltato le mie parole: ha preso alla lettera ciò che gli ho detto. Il suo è stato un sorriso bello, anche se non troppo spontaneo. Un sorriso voluto, ma non forzato, per nulla artificiale: un sorriso contento.

La valigia del cavalier Strombazza

Tanto è una storia basata su degli equivoci. Capirla oppure no non faceva differenza. L'importante era divertirsi. E Dodokko si è divertito eccome domenica, alla sua 'Prima' al teatro dei burattini San Carlino di Roma. Fra tanti bambini urlanti, ha urlato anche lui dalla platea come mai lo avevo sentito fare. Soprattutto, gli sono piaciute le bastonate che si sono date Pulcinella, Arlecchino e Grattone. E ha anche voluto interagire con loro, indirizzando ogni tanto contro questi personaggi il raggio (elettrico?) che parte dal suo dito. Poi si è voltato spesso in direzione della sua cuginetta un po' più grande di lui, facendole sentire la sua grassa risata soddisfatta e per condividere con lei il suo godimento della rappresentazione. Equivoci, dicevamo. Che nascono per due valigie identiche, nel caso del racconto a cui abbiamo assistito, ma anche a causa di due realtà contrapposte e che a un certo punto sono entrate in contatto fra loro. Dodokko, al termine di una bella

Lo strano caso della cicogna di Lodi (I indizio: il tiglio)

E' una storia vera e una favola triste quella accaduta qualche giorno fa a Caselle Lurani, vicino Lodi. Ne ha parlato il Corriere della Sera e, sulle stesse pagine, ne ha scritto un commento perfino il poeta Tonino Guerra. Protagonista di questa storia e di questa favola è una cicogna, anzi un cicogno, morto in circostanze ancora non del tutto chiare, probabilmente per salvare il suo nido e la sua covata, due uova (ma c'è chi dice fossero addirittura tre!), la sua discendenza, la sua prossima generazione di cicogne. Ora, giornale alla mano, ascoltati alcuni testimoni diretti della vicenda, voglio raccontarvi come sono andate veramente le cose, quali sono state le dinamiche reali dei fatti e, soprattutto, dirvi per ultimo qual è il movente dell'omicidio. Sì, avete sentito bene, dell'omicidio, perché di questo trattasi e non di incidente come vuol farci intendere la cronaca. E voglio anche cogliere l'occasione per invitare i lettori, che abbiano a loro volta sentito

Violenza (ancora sulla libertà e l'intolleranza)

Sulla libertà che suscita l'intolleranza , una poesia di Paolo Bellino detto Rotafixa. Uno che ama la bicicletta e il senso di libertà che questo oggetto produce. violenza Non conto più le volte che mi hanno minacciato insultato mandato a quel paese. Non so perchè. O meglio lo so: sono un ostacolo. Un uomo di traverso sulla strada del progresso. Un nemico dell'economia. Questi mi vogliono fare fuori perchè sono in mezzo alle scatole. Me lo dicono, non è uno scherzo. E non è neanche uno stato centroamericano sfigato la cui produzione principale é cocaina. Questa é l'Italia. Una violenza insensata, fortunatamente finora senza sbocchi. Dovremmo passare il tempo a baciarci e invece sogniamo di scannare qualcuno. (Paolo Bellino detto Rotafixa http://www.movimentofisso.it/ )

Libertà e intolleranza quotidiane

Meravigliosa la frase sentita stamattina, rivolta a me in presenza di mio figlio: "Io questo qui lo ammazzerei!". Ora vi spiego come è nata, chi l'ha detta e, ovviamente, anche il perché. Dunque, come ogni giorno, stavo accompagnando Dodokko all'asilo, in bicicletta. Per farlo, essendo la mia un tipo di bici non predisposta per il seggiolino, durante tutto il tragitto sorreggo col braccio sinistro mio figlio mentre con il destro tengo il manubrio. Poi pedalo sul marciapiede, perché è più sicuro della strada, con tutte le macchine che passano. Durante la nostra breve passeggiata, fra un sorriso e una frase, incrociamo ed evitiamo alberi, buche, negozi, cani e persone. Ogni mattina, più o meno, sempre gli stessi alberi, buche, negozi, cani e persone. Come il gruppetto di pescivendole, fuori dalla pescheria, che chiacchierano fra loro. Non so se improvvisamente o se ci pensasse da tempo, fatto sta che una di loro, appunto, stamattina evidentemente ha preso coraggio, è ha

Semplici riflessioni

Forse è bassa letteratura oppure sono semplici riflessioni dette ad alta voce da uno qualunque. Questo blog non è autorevole, né lo è il suo autore: qui c'è un diario, qualche opinione (non la Verità), nulla di scientifico. Insomma, prendete ciò che leggete per quel che sono: fatti e pensieri personali messi a vostra disposizione. Nient'altro che questo. Per esempio, Ciao papà , qui di sotto, come altri post, non è altro che l'occasione per riflettere sul male necessario e sulle medicine per vivere che fin da piccoli siamo costretti a ingoiare. E sull'accettazione della brutta realtà che subiamo già da bambini, ovvero fin dal momento della spensieratezza o del pensiero astratto, e che uomini e società adulte ci inculcano sin dai primi giorni di vita. Lo so che "è normale che questo accada", lo so che "così si cresce", lo so che "in tal modo si diventa uomini", come so, purtroppo, che cominciamo a divenire adulti sin dal primo vagito. Ma è p

Ciao papà

E' sempre una questione di contesti: Dodokko mi ha detto tante volte "ciao papà", ma sempre quando ci siamo rivisti dopo una separazione più o meno lunga. Mai prima di ieri, invece, lo aveva fatto in modo così esplicito: quando cioè l'ho accompagnato all'asilo e l'ho salutato come sempre e lui mi ha risposto, per l'appunto: "Ciao papà". Non so se sentirmi sollevato oppure dispiaciuto per un saluto dato nel momento in cui ci si accinge a separarsi e non dopo, quando invece ci si rincontra. Da una parte mi fa piacere che mio figlio accetti senza fare più drammi il fatto che ogni mattina ciascuno di noi debba prendere la propria strada. Dall'altra mi rendo conto di quanto, a neanche tre anni, sia costretto non solo a fare i conti con la realtà del distacco, ma addirittura con l'accettarla. Come se la separazione fosse un male inevitabile oppure una malattia incurabile, di cui siamo costretti a soffrire ogni giorno. In silenzio e con un sorri

Il 'Conflitto' della Badinter e il fallimento della donna-madre

Da un po' di tempo si parla molto dell'ultimo libro di Elisabeth Badinter Le conflit. La femme et la mère (Flammarion). A stupirmi non sono molto gli articoli, pubblicati sui quotidiani e sui blog, del saggio della filosofa femminista francese, ma i commenti di tante persone, così tante madri, schierate dalla parte dell'autrice. Quando ho letto le recensioni del libro sui vari mezzi di comunicazione in cui sono apparse, la prima idea che mi è balenata è stata di trovarmi di fronte a un tentativo, per altro ben riuscito stando alle vendite in Francia, da parte della Badinter di dire cose volutamente sovversive parlando di maternità da un punto di vista del tutto innaturale. In sintesi, mi è parso che, sedendosi al tavolino, la scrittrice abbia 'teorizzato' in maniera del tutto aprioristica una sua visione dell'argomento che non tiene conto di un fatto imprescindibile: che i due elementi del binomio 'donna-madre' non sono antitetici fra loro, ma complemen

Merda

Se la sintesi di tutto fosse racchiusa proprio in questa parola: merda? Pare che l'essenza del rapporto fra genitori e figli, degli uni verso gli altri e viceversa, in ogni senso lo si legga, sia esattamente quella di prendersi cura, prima o poi, della merda altrui . Almeno, stando agli ultimi due libri che ho letto, che a parte la merda, figurata o vera e propria che sia, hanno a che fare molto poco l'uno con l'altro. Si tratta de' La cena e di Patrimonio , rispettivamente di Herman Koch e di Philiph Roth. Non un gran che il primo, avendo deluso la mia aspettativa di trovarvi una sorta di dilemma sofocleo. Senz'alto migliore e, come sempre, fatto molto bene, quello dell'autore americano. Ma torniamo all'argomento di partenza, alla merda. Nel racconto dello scrittore olandese i genitori debbono togliere dai guai il figlio, responsabile, assieme al cugino, di un omicidio orrendo. E lo faranno proteggendolo in maniera certamente diseducativa (ma ciò non conta

Le orecchie

Ora non venitemi a dire che le orecchie non sono la cosa più importante quando si comunica con qualcuno. La bocca serve per parlare, questo si sa. Ma le orecchie sono fondamentali quando si vuole capire chi ancora non parla bene. Ieri ho rivisto alcuni filmati dell'anno scorso, quando Dodokko era più piccolo e si esprimeva ancora per mezzo di bisillabi. Diceva: "Do-do, la-la, qua-qua", eccetera, ma per me che lo ascoltavo le sue parole primitive contenevano dei significati e riuscivamo a comunicare e a capirci. Sentire oggi, a distanza di relativamente poco tempo, le sue frasi di allora e il suo linguaggio dimenticato mi ha fatto sentire come uno che ascolta una persona straniera parlare in una lingua sconosciuta. Paragonando le parole di quel tempo al modo in cui mio figlio parla oggi, mi sono domandato come facessi a capirlo. La risposta che ho trovato è racchiusa, appunto, nella storia delle orecchie. Quando si vuole comprendere qualcuno, quando si vuole intendere cosa