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Oggi è l’ultimo giorno dell’anno

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia, un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se sono già caduti i piani alti, è meglio che rov

Qualcuno alle loro spalle è scomparso per sempre

I bambini sono nella stanza accanto e la signora mi dice: "Mi è dispiaciuto per tua zia". "Non dire niente a Dodokko: le era affezionato", mi raccomando subito, aggiungendo ad alta voce un pensiero che mi viene in mente lì per lì: "Questi bambini non fanno in tempo a girarsi da una parte che qualcuno alle loro spalle scompare per sempre". "Dov'è?", chiederanno un bel giorno e la risposta sarà vera o falsa, a seconda dell'età che avranno in quel momento, oppure una mezza verità o una mezza bugia, che è la spiegazione più probabile che potremo dargli, ne sono convinto, fra qualche anno soltanto. Ma il fatto resta, ed è che, ai loro occhi, la gente sparisce, all'improvviso, di punto in bianco, senza una ragione e senza la minima spiegazione. Poco prima che morisse mio padre, fu proprio questa zia a dirmi come stavano le cose e ciò che sarebbe successo di lì a pochi giorni. Eravamo a Milano, in una macchina che ci portava all'ospedale

Gli sdraiati: quando il dialogo fra padri e figli adolescenti è 'inesistente'

Se ne stanno stesi sul divano, col telefonino in mano o con il tablet, a ciattare e, se li interrompi, rispondono al massimo con dei monosillabi. Sono con se stessi, ciascuno per conto proprio, anziché con gli altri. Preferiscono inviarti un sms anche se ti trovi nella stanza affianco, invece di venirti a parlare di persona. Prendo spunto da Gli sdraiati , il libro autobiografico di Michele Serra che non ho ancora letto e che mi è stato segnalato, per scrivere a mia volta qualche nota autobiografica sul rapporto fra padri e figli adolescenti. Ma prima di iniziare vorrei fare un avvertimento o una premessa per così dire 'propedeutica' al racconto della mia esperienza.  Come dice Serra, è la rarefazione - sempre più marcata a causa delle nuove tecnologie - dei rapporti interpersonali alla base del dialogo 'inesistente' fra generazioni diverse. Ma la mancanza di comunicazione fra padri e figli non è dovuta al silenzio degli uni o degli altri, come sostiene lo psicanalista

Sport nazionale

Francis Scott Fitzgerald  "Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. «Quando ti vien voglia di criticare qualcuno», mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu». Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo". L'incipit del Grande Gatsby mi è rimasto in testa da quando lessi, una ventina di anni fa, il romanzo di Fitzgerald. Lo stesso messaggio, di non criticare il prossimo, lo giro ai miei figli non solo perché gli altri possono essere più sfortunati di loro, ma soprattutto perché considero una cosa orrenda quella di parlare male delle persone a loro insaputa. Eppure, sparlare degli altri è un atteggiamento diffusissimo: forse è il vero sport nazionale, un'attività a cui personalmente, sembrerà incredibile, non ho mai preso parte. Prima di incominciare

Aristocratici

Ma sì, è già un poco che ci penso e allora, dato che oggi ho tempo, questa cosa la scrivo. L'occasione me la offre quel capannello di quattro mamme ferme, come ogni mattina, all'ingresso della scuola. Parlano della classe, dei bambini e delle maestre, a volte anche di altri genitori. Spettegolano, soprattutto, su questi argomenti. Sono un gruppo di aristocratiche, non nel senso che appartengono alla nobiltà, ma nel significato più stretto di chi si ritiene migliore  di altri, costituisce un piccolo gruppo chiuso che include soltanto quelli come loro, i 'migliori', ed esclude, allo stesso tempo, tutti gli altri, i 'peggiori', secondo loro, la maggior parte delle persone. L'aristocrazia ha esattamente queste origini e il suo motto è: "Noi pochi siamo migliori di voi tanti e, dato che siamo migliori di voi, comandiamo noi, mentre voi fate quello che diciamo noi". Sono persone che, per ottenere ciò che vogliono corteggiano  gli altri, si fanno la corte

"Alcune di queste immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità"

"Alcune di queste immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità": è l'avviso che il sito di Repubblica ha fatto ieri ai lettori che si accingevano ad aprire la galleria fotografica di Zili, il bimbo cinese in catene .  Orbene, le immagini del fotografo della Reuters William Hong mostrano un bambino di undici anni con una catena a un piede che lo accompagna fin da piccolo, da quando cioè, dopo aver sbattuto la testa, il bimbo si è mostrato 'aggressivo' e 'ingestibile' da parte del nonno che lo 'accudisce'.  "Queste foto - racconta la didascalia - hanno contribuito a rilanciare il caso dei bambini dimenticati che in Cina rappresentano numeri da record, anche perché molti casi sono 'nascosti', nelle aree delle province più lontane del Paese". "Grazie a queste immagini - conclude il breve testo che le accompagna - si sono mobilitate per il piccolo Zili le associazioni per la tutela dell'infanzia". Meno male che c'

Un cinque e un quattro

Un cinque e un quattro.  "Cosa sono quei numeri sul braccio?".  "Sono i giorni che mancano alle vacanze: ieri cinque, oggi quattro". Sono anche gli ultimi giorni al centro estivo. Se li è scritti con la penna sulla pelle, soltanto i primi due, poi ha dimenticato di continuare fino al numero uno, fino all'ultimo giorno di scuola, o allo zero, se esiste un giorno zero. Il tempo passato all'asilo è stato non solo ben accettato ma proprio bello. Un sorriso di soddisfazione ha sempre accompagnato i bambini all'uscita dalle loro classi. E quando al mattino li portavo a scuola, ci lasciavamo senza drammi, soltanto gli occhi seguivano quelli dell'altro fino alla porta. Poi, ciascuno di noi a fare quel che doveva...chissà se il pensiero, ancora per poco, chissà se la memoria, se i ricordi recenti... Un cinque e un quattro. E il tempo ha interrotto il suo corso. Le vacanze sono arrivate e se ne sono andate, con il loro carico di aspettative e di contraddizioni

Estate

Sul momento non ce ne accorgevamo: era il tempo trascorso vicini, giorno dopo giorno, a renderci felici. L'estate non era altro che l'occasione per stare insieme a lungo. Durante l'anno scolastico ci incontravamo la sera e il fine settimana. Momenti che duravano poco e che terminavano con l'ennesima divisione, il lunedì mattina.  Abbiamo sempre scambiato la felicità essenziale, dello stare insieme l'estate, con quella della circostanza occasionale. Per esempio, quella di andare a raccogliere le more o l'uva fragola oppure quella di pescare di fronte allo scoglio.  Agli occhi di un bambino, queste avventure erano magiche, sensazionali, addirittura sovrumane. Tornavo a casa ancora pieno di adrenalina, con i muscoli tonici e senza appetito.  Ancora oggi, ogni estate desidero ritrovare quel mondo mitico. Cercando inconsciamente posti che assomiglino a quelli vissuti da ragazzino. In questi luoghi, che vorrei fossero gli stessi - "quelli di una volta", come

Senza salutare nessuno

Si è svegliato ed è andato a sedersi  di fronte alla sua ciotola di latte. Senza salutare nessuno. Il bambino ha guardato la tazza  a lungo prima di bere un sorso. Tutt'intorno voci   che pretendono di essere ascoltate. Altre voci che negano e che vogliono  anche loro il proprio spazio. Tutto lo spazio. Voci e ancora voci di un egoismo scontato. Che non è quello di chi  tiene soltanto a se stesso, ma di chi è convinto di non avere avuto. E ora vuole, vuole solo per sé: una compensazione, una rivalsa, una dimostrazione. E in mezzo quel silenzio. E quella domanda altrettanto scontata  che in cucina precipita come un fulmine:  "Perché non saluti, la mattina?".   (2013)

Il colore giallo

Se i colori fossero tutti gialli come dici tu sarebbe giallo il verde lo sarebbe il rosso e anche il blu. Se il mondo fosse tutto giallo perfino gli alberi e il mare  e le montagne sotto la neve avrebbero questo colore. Anche la notte più nera sarebbe gialla. E il sole più giallo  luminoso e talmente caldo che i vestiti gialli  si asciugherebbero  in un momento. I tuoi capelli gialli che brillano sempre appena c'è un po' di vento sarebbero gialli  anche con la luce spenta quando ti addormenti.   (2013)