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Ritorno

Scrivo seduto sulla poltrona di un treno, guardando il mare tutte le volte che compare sullo schermo del mio finestrino, nel breve spazio fra una casa e un’altra o in quello più durevole, appena dopo una stazione in cui il convoglio ha appena fatto sosta, prima di ricominciare a correre.  Sono stato lontano una settimana e, ora che sono in viaggio, realizzo quanto sia stupida questa parola: ritorno. Sbaglia sia chi ritorna e sia chi aspetta qualcuno che stia arrivando, anche dopo pochi minuti da quando è andato via, a pensare di ritrovare esattamente ciò che ha lasciato, come se il momento dell’addio abbia potuto congelare il tempo: gli occhi, che si salutarono, ancora lì, fermi in quel frangente davanti alla porta di casa o, nelle orecchie, le brevi parole di commiato pronunciate, sospese nell'aria. E’ un’illusione credere di ritrovare ciò che si è lasciato, così come è sempre un’idiozia pensare che il tempo si fermi. Stare insieme significa soprattutto percepire, senza alcuna pre

Caro diario...una giornata a scuola

Inauguro oggi, dopo una lunga latitanza, una 'sezione' del blog nella quale scriverà il mio figlio più grande.  Quello che segue è il suo primo intervento. Caro diario, oggi sono entrato in classe, sono arrivato un po’ in ritardo, non ho trovato il mio posto libero, allora la maestra mi ha fatto sedere da un'altra parte. Dopo, ho aperto il libro di letture e abbiamo cominciato a leggere, tutta la classe ha fatto a turno e, quando è toccato a me, ho fatto l’esercizio nella pagina letta. Ho scritto anche una pagina di diario sul quaderno. Dovevamo raccontare un’esperienza di una nostra paura. Io ho parlato della scorsa sera, quando sono andato nella mia camera e non sapevo che Spot, il mio cane, era già dentro, e mi sono spaventato appeno l'ho visto all'improvviso. Una volta finito di scrivere, sono andato a correggere dalla maestra e lei mi ha detto che si era molto divertita. Poi mi ha chiesto di fare un disegno della scena e io ho disegnato abbastanza bene.  Dopo,

Modi di dire (e di fare)

Lascio per un momento il figlio grande fuori dalla scuola assieme a Spot, per accompagnare il piccolo in classe, uno degli ultimi giorni della materna, l'anno prossimo andrà in prima elementare e anche per lui, finalmente, le lezioni finiranno prima, a metà giugno, come per il fratello. Poco dopo torno indietro e trovo il grande che ride come un pazzo, a guardare Spot e un bassotto che abbaiano l'uno verso l'altro, a turno, in un dialogo incomprensibile ma divertente: botta e risposta, una parola tira l'altra, si domanda e si dice quel che si sa, il modo di parlare è del tutto ininfluente oppure è il solo che conta, quando le parole non si capiscono. La cosa bella è il rispetto dei tempi dell'interlocutore, soltanto quando questi ha finito di dire la propria, l'altro può intervenire. E' questo che fa ridere di più mio figlio: l'accettazione di regole non prestabilite, ma presenti, evidentemente, e la partecipazione, il pathos con il quale certi argomenti

Il fiume

Mi capita spesso di pensarci: il fatto di aver perso mio padre da ragazzo ha fatto sì che venisse a mancarmi, soprattutto, qualcuno che avesse potuto darmi dei consigli per il futuro. Qualcuno che mi avesse potuto raccontare come sarebbero andate certe cose, che avesse potuto farmi delle previsioni, che mi avesse detto un po' di più di com'è il mondo, e com'è la gente che lo popola, che mi avesse messo su di una strada piuttosto che su di un'altra.  Probabilmente sarei diventato una persona più prevenuta - talvolta desidererei esserlo un poco, è molto pratico e sbrigativo avere delle idee preconcette e dei pregiudizi sugli altri -, invece di pormi innanzi al prossimo come fa l'ascoltatore disincantato di fronte a un libro aperto. Senonché, di persone simili a libri aperti ne esistono ben poche, tutte hanno l'innato desiderio e l'istintiva ambizione di affermare prima o poi se stesse e chi ci rimette è l'obiettività, il descrivere le cose per quello che s

Vi ricordo il cane

La diffidenza è durata per un giorno, poi ha dovuto necessariamente fidarsi, all'inizio non c'ero che io davanti a lui, nessun altro che conoscesse: quest'uomo che, fino al giorno prima, non aveva nemmeno mai visto e, poco dopo, questi due bambini, tanto diversi dai suoi fratelli. Col tempo, poi, a prevalere non sono state le differenze fisiche, quelle restano, ma le similitudini morali, certi comportamenti che possono benissimo assomigliarsi e che accomunano ogni animale, esseri umani compresi, come prendersi cura di un cucciolo, giocare, cercare di capire, se non tutti, almeno alcuni bisogni, perlomeno quelli che definiamo, non a caso, 'primari'. Giungere a comprendere ciò che ci rende simili, certe volte non vuol dire altro che dar fiducia. E' quello che in questi giorni Spot sta facendo verso di noi, ed è ciò che anche noi stiamo facendo verso di lui. Non siamo ancora al dare all'altro l'anima e il corpo , anzi, forse questo noi umani non lo faremo m

Diciassettesima lettera: se la verità dovesse sempre prevalere

Se la verità dovesse sempre prevalere, non sentireste così spesso invenzioni d'ogni genere, false accuse, resoconti fantasiosi, storie più o meno immaginarie.  Se la verità fosse ovunque, allora farei bene a dirla sempre: sarei, in una parola sola, credibile . Ma la verità non è cosa di questo mondo, almeno quella sulla quale possano trovarsi d'accordo due persone. La verità che io so, infatti, molto spesso non è la stessa che anche gli altri conoscono. Perché discordiamo su tante questioni? Perché ciascuno di noi sostiene la propria verità. E incontrarsi significa a volte sacrificare un po' della nostra verità in favore di quella degli altri. Però la verità è una, una sola, e non è fatta di mezzi termini e di mediazioni. Per quanto mi riguarda, non è da mettere in discussione, la verità, in favore di un incontro basato in definitiva sulla menzogna, sulla rinuncia a una porzione di verità, perché questa non è porzionabile, come fosse una torta, una fetta a me e una

Il bambino e il cane

Chi ha detto che gli occhi servono soltanto per vedere o per guardare, per accorgersi di chi ci sta di fronte o per immaginare o sognare (a occhi chiusi, ma anche a occhi aperti - come diciamo spesso - e comunque sempre qualcosa di già visto o che, al massimo, desideriamo vedere)? A volte gli occhi servono a prendere in braccio altri occhi. Per incontrarsi, per capirsi, per dirsi di sì. Per questo, può bastare uno sguardo o sono necessari momenti appena più lunghi. Ma sempre di istanti parliamo quando a parlarsi sono gli occhi. Gli occhi non conoscono né tempi troppi lunghi, né morti. Gli occhi del bambino hanno incontrato quelli del cane. Gli occhi del cane hanno incontrato quelli del bambino. Anche se l'umano guarda il mondo a colori e l'animale in bianco e nero, e un po' sfocato per giunta, credo che nasca così quello che chiamiamo, retoricamente, quando parliamo di innamoramento o soltanto di qualcosa che crediamo tale, "amore a prima vista". Ma quello fra bam

Sedicesima lettera: la felicità è un dovere verso se stessi

Qualcuno pensa che tornare a casa sarebbe la cosa migliore che potrei fare, almeno per voi, per il vostro bene. Ma io non sono d'accordo, per due motivi, che adesso vi spiego anche se il rischio di essere retorici è dietro l'angolo: il primo è che non è giusto che vi abituiate all'idea che una relazione litigiosa, come quella che c'è stata finora fra vostra madre e vostro padre, sia una cosa accettabile e addirittura normale. Per il semplice fatto che il solo esempio che avete davanti agli occhi è quello che vi offriamo quotidianamente noi genitori, non sapete ancora che esistono famiglie nelle quali i genitori si rispettano e, se discutono, lo fanno senza alzare la voce, perlomeno in presenza dei figli. Salvaguardarvi dai toni violenti e da ogni sorta di sentimento negativo, dell'uno nei confronti dell'altra, e che trapelava ormai in ogni frase, io e mamma non siamo stati mai capaci di farlo. I nostri battibecchi, gli insulti, le parole sprezzanti, l'astio

Non serve a niente parlare

Non serve raccontare ciò che è accaduto, non serve chiedere spiegazioni, non serve parlare e per dire cosa?   Non occorre spiegare. Non occorre domandare. Le parole dicono molto meno dei fatti. E le domande sono fatte di retorica in questi giorni, molto più che in quelli lontani. La retorica del presente è ancora più vivida di qualsiasi futile ritorno al passato. Voi mi guardate andare e tornare e adesso lo state perfino accettando. Non so con che spirito, con che stato d'animo: questo non ce lo diciamo ma posso immaginarlo. L'infelicità posso soltanto immaginarla dietro al far finta di niente, dietro a un sorriso di circostanza, dopo che ci siamo detti "arrivederci".  Posso intravedere l'infelicità dietro a quella porta chiusa, nel ritorno alle cose che vi aspettano e subito dopo, quando chiudete gli occhi, appena prima di prendere sonno.

La luce di Lisbona

Sono tornato da Lisbona da pochi giorni e non parlerò, adesso, della città lusitana, delle sue piazze e delle vie che evocano la libertà conquistata, né del tram 28 o del castello o di Belem. Queste cose, infatti, sono descritte in tutte le guide turistiche. Racconterò soltanto che è la seconda volta che vado in questo posto che amo con tutto il cuore, forse più d'ogni altro, dove c'è un fiume che sembra il mare: la città e l'acqua sono i luoghi nei quali è più facile perdersi ed eventualmente, se davvero lo si desidera, ritrovarsi.  A distanza di dieci anni dalla prima volta, sono stato a Lisbona soltanto con i miei figli, con i quali ho fatto l'esperienza di un viaggio intimo meraviglioso. Due compagni infaticabili, due bambini per molti versi già uomini e certamente viaggiatori meno noiosi di tanti adulti che conosco. Curiosi e interessati a tutto, non hanno mai perso l'attenzione verso ogni piccolo particolare e novità che abbiamo incontrato.  Riuscireste a imma