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Due mani di carta

Attraverso il ponte tutte le mattine, ma guardo sempre davanti a me, raramente di fianco. Il fiume scorre ai lati dei miei occhi, è uno specchio bruno su cui non mi soffermo mai.  Stamattina, invece, l'increspatura dell'acqua mi attirava, perché era simile a quella che ha il mare quando soffia la tramontana.  "Non c'è differenza di acqua - ho pensato - tra un fiume e un oceano, perché il primo è il preludio del secondo, e senza l'uno non potrebbe esistere l'altro. Ma noi guardiamo l'uno e l'altro - mi sono detto - dando a ciascuno un nome diverso, facendo delle distinzioni. E più ci addentriamo nei particolari, più ci allontaniamo dalla verità generale e più commettiamo errori: più siamo precisi e più sbagliamo ed è inevitabile che sia così, agli uomini non è dato di vivere l'essenza delle cose e di avere una visione globale della realtà, anche perché, se ciò accadesse, verrebbe meno tanto il panorama quanto l'osservatore, l'oggetto assieme

Il diritto del signor Pincopallo

"Ma fa' pure come ti pare, tanto non frega a nessuno degli altri: ognuno pensa a se stesso e la maggior parte delle volte, quando fai qualcosa che può nuocere al prossimo, non se ne accorge nessuno e di rado qualcuno si oppone". Parole egoistiche, qualunquiste, deprorevoli, di un mio collega che l'altro giorno, a modo suo, ha voluto darmi un consiglio. Una frase di chi non nutre un senso civico, un'idea minima di società o di bene comune, ma che coglie comunque nel segno, perché descrive puntualmente i fatti, lo stato delle cose, la realtà nella quale viviamo.  Gli esseri umani sono egoisti per natura e consumano le risorse per stare meglio, singolarmente, ai danni degli altri: il mio collega ha perfettamente ragione. Banalmente, è egoista chi mi vieta di mettere la bicicletta in una stanza non utilizzata dell'ufficio perché, di punto in bianco, ritiene che quel posto non è un garage, e dunque "ordine, signori, chiamiamo le cose con il loro nome, e diamo

La matematica, i giudizi, infine il cane

Osserva il mondo che hai attorno – dice il matematico – e trai le tue conclusioni: la realtà non è che il risultato della combinazione di più fattori, ai quali è possibile risalire attraverso un viaggio, spesso breve, a ritroso nel tempo. Trova – l'uomo reale, quello fatto di carne, ossa e sangue – corretta questa affermazione del matematico? Pensa egli che la propria vita, e quella degli altri, sia riconducibile a un'equazione? Veramente, nella realtà, un risultato, un numero a caso, poniamo il 3, è dato da 1+2 o da 4-1 o da 1x3 o da 9:3 o da tante altre operazioni (quante sono i numeri e le loro possibili combinazioni)? I numeri sono infiniti, e finiti fin tanto che siamo capaci di contarli, e questi ultimi definiti, e gli altri, quelli che mancano all'appello, al massimo definibili. Ma un uomo non è il risultato di un'operazione matematica, né la sua vita è il prodotto della combinazione di fattori definiti o definibili. Molte ragioni sono infatti indefinibili o non

Fratture, giudizi, autoaffermazione...e Socrate

Quello di come mi sono rotto il braccio per la seconda volta, a sedici anni, è un racconto ricorrente. Mi capita di parlarne quando c'è la neve o se incontro una persona che porta il gesso e desidera avere uno scambio di esperienze sull'argomento 'fratture', come mi è successo qualche giorno fa. Lo racconto anche qui, perché è curiosa non tanto la dinamica del mio incidente, ma piuttosto l'opinione e il commento, spesso unanimi, che la mia esperienza suscita. Ebbene, dopo la mia prima frattura all'avambraccio destro, dovuta a una caduta per essere inciampato su una radice mentre giocavo a pallone su un prato, dopo due mesi e mezzo di ingessatura, dopo aver tolto il gesso un sabato di un dicembre che aveva riempito Roma di neve, domenica mattina decido di fare irrobustire il mio arto indebolito andando a sciare nel parco vicino casa mia. Scio per tutta la mattinata, su e giù per le valli innevate, e alla fine della giornata sgancio gli sci, mi tolgo gli scarponi

Il polpo

L'altro giorno una mia amica mi ha chiesto perché mai io porti al collo un ciondolo con un polpo. Un po' stupito per la domanda, all'inizio ho voluto raccontarle di simbologie più o meno fantasiose, per poi confessarle che si tratta di un semplice regalo.  Ciò che non le ho detto, anche perché non credo che infondo sia così interessante saperlo per una persona che ti fa una domanda sulla collanina che indossi, è cosa rappresenti per me questo animale.  Ebbene, il primo incontro con i polpi risale a quando ero ancora un bambino. Li pescavano mio padre e mio cugino, abilissimi nell'individuarli nel fondale, dove se ne stavano mimetizzati sotto a una pietra, magari con un tentacolo che ne usciva, o, sulla sabbia, fra un gruppetto improvvisato di sassi bianchi con i quali il mollusco aveva costruito la propria tana.  Quando mi immergevo in mare con loro, a volte li prendevo anche io, dopo che mio padre mi aveva indicato esattamente il punto in cui si trovavano.  Il polpo è,

Zebbra o non zebbra, ma i problemi della scuola sono altri

“Ma come diavolo si scrive?”: forse se lo sono chiesti in molti, dopo lo sfondone della maestra elementare che ha corretto l'alunno dicendogli che si scrive “zebbra”, con due 'b', e non “zebra”. O forse no, non se lo è chiesto nessuno: è talmente evidente che l'insegnate ha sbagliato. Ma un errore può capitare a tutti, anche ai maestri, non c'è bisogno di tutto questo clamore e, dal mio punto di vista, questa cosa non è nemmeno una notizia. I problemi della scuola sono ben altri, non il personale che ci lavora, ma le strutture fatiscenti e la scarsità delle risorse. L'altro giorno parlavo con i genitori di alcuni compagni di mio figlio di quale scuola media scegliere per il prossimo anno. E dicevo loro: “Mi piacerebbe che andassero nella stessa scuola, dato che ci conosciamo tutti e ci troviamo bene assieme, sia i piccoli fra di loro, che noi grandi, quando ci vediamo”. Si prospetta la scelta di una scuola un po' sgangherata, in continuità con quella che gi

Compleanni 'in modalità privata'

Una delle novità dell'anno scolastico in corso è il fatto che le feste di compleanno si siano drasticamente diradate rispetto agli anni precedenti. Non esagero: in prima elementare ce n'era una ogni due, massimo tre settimane, In seconda e in terza, almeno una al mese. In quarta, da settembre fino a oggi, ce ne saranno state sì e no due.  Cosa è successo? I bambini non festeggiano più il loro compleanno? Sono finiti quei soldi, e parecchi, che prima si spendevano fra sala da affittare, animazione e catering? O è finito l'entusiasmo, o la megalomania, fino all'indebitamento, da matrimonio indiano, nel festeggiare un avvenimento in maniera tale che lasci il segno, un ricordo indelebile nelle generazione che verranno...   No, niente di tutto questo. La tendenza, adesso, è quella di festeggiare 'in modalità privata' i compleanni. Ovvero, restringendo  l'invito a pochi fortunati, ai cosiddetti - immagino le proposte dei genitori ai figli attoniti -  migliori amic

Ritorno

Scrivo seduto sulla poltrona di un treno, guardando il mare tutte le volte che compare sullo schermo del mio finestrino, nel breve spazio fra una casa e un’altra o in quello più durevole, appena dopo una stazione in cui il convoglio ha appena fatto sosta, prima di ricominciare a correre.  Sono stato lontano una settimana e, ora che sono in viaggio, realizzo quanto sia stupida questa parola: ritorno. Sbaglia sia chi ritorna e sia chi aspetta qualcuno che stia arrivando, anche dopo pochi minuti da quando è andato via, a pensare di ritrovare esattamente ciò che ha lasciato, come se il momento dell’addio abbia potuto congelare il tempo: gli occhi, che si salutarono, ancora lì, fermi in quel frangente davanti alla porta di casa o, nelle orecchie, le brevi parole di commiato pronunciate, sospese nell'aria. E’ un’illusione credere di ritrovare ciò che si è lasciato, così come è sempre un’idiozia pensare che il tempo si fermi. Stare insieme significa soprattutto percepire, senza alcuna pre

Caro diario...una giornata a scuola

Inauguro oggi, dopo una lunga latitanza, una 'sezione' del blog nella quale scriverà il mio figlio più grande.  Quello che segue è il suo primo intervento. Caro diario, oggi sono entrato in classe, sono arrivato un po’ in ritardo, non ho trovato il mio posto libero, allora la maestra mi ha fatto sedere da un'altra parte. Dopo, ho aperto il libro di letture e abbiamo cominciato a leggere, tutta la classe ha fatto a turno e, quando è toccato a me, ho fatto l’esercizio nella pagina letta. Ho scritto anche una pagina di diario sul quaderno. Dovevamo raccontare un’esperienza di una nostra paura. Io ho parlato della scorsa sera, quando sono andato nella mia camera e non sapevo che Spot, il mio cane, era già dentro, e mi sono spaventato appeno l'ho visto all'improvviso. Una volta finito di scrivere, sono andato a correggere dalla maestra e lei mi ha detto che si era molto divertita. Poi mi ha chiesto di fare un disegno della scena e io ho disegnato abbastanza bene.  Dopo,

Modi di dire (e di fare)

Lascio per un momento il figlio grande fuori dalla scuola assieme a Spot, per accompagnare il piccolo in classe, uno degli ultimi giorni della materna, l'anno prossimo andrà in prima elementare e anche per lui, finalmente, le lezioni finiranno prima, a metà giugno, come per il fratello. Poco dopo torno indietro e trovo il grande che ride come un pazzo, a guardare Spot e un bassotto che abbaiano l'uno verso l'altro, a turno, in un dialogo incomprensibile ma divertente: botta e risposta, una parola tira l'altra, si domanda e si dice quel che si sa, il modo di parlare è del tutto ininfluente oppure è il solo che conta, quando le parole non si capiscono. La cosa bella è il rispetto dei tempi dell'interlocutore, soltanto quando questi ha finito di dire la propria, l'altro può intervenire. E' questo che fa ridere di più mio figlio: l'accettazione di regole non prestabilite, ma presenti, evidentemente, e la partecipazione, il pathos con il quale certi argomenti