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Scuola dell'infanzia

Ce l'ho fatta! Dopo tanti pensieri, troppi ripensamenti, molti dubbi e dopo troppo, davvero troppo indugiare, dopo che questo settembre nerissimo è terminato, finalmente ho preso la decisione di ritirare Dodokko dalla scuola dell'infanzia comunale per iscriverlo di nuovo nella scuola privata che ha frequentato lo scorso anno. Non è stata una scelta facile, per diversi motivi: perché lo avevano finalmente ammesso in una scuola pubblica dopo due tentativi falliti negli anni precedenti; perché ero convinto che i docenti pubblici, che possono insegnare perché hanno vinto un concorso, fossero più selezionati e preparati di maestre che nella scuola privata a volte si improvvisano tali; perché il contributo da pagare era insignificante rispetto alla retta che da ottobre verseremo di nuovo; perché l'iscrizione di Dodokko ci avrebbe portato più punti nella graduatoria per essere riammesso nella scuola dell'infanzia, sia nell'eventualità di farlo frequentare nei prossimi anni

La staffetta

Ci improvvisavano campioni: alla scuola media e poi al liceo, da un giorno all'altro ci annunciavano: "Sabato prossimo c'è la corsa campestre" oppure: "C'è la staffetta". E, senza nessuna preparazione, senza alcun allenamento, quel sabato prima o poi arrivava e noi alunni ci ritrovavamo 'vomitati' a Villa Borghese dal pullman preso in affitto - nonostante la vicinanza al parco romano - per il motivo 'logistico' - suppongo - di tenere a bada gli studenti di un'intera scuola, non di una classe soltanto. Andavamo poi a piedi, più o meno disordinatamente in fila, fino a Piazza di Siena oppure al Galoppatoio, come gladiatori dalle armi spuntate (almeno, così mi sentivo io) eppure pieni di coraggio. Non tanto certi di noi, ma comunque ottimisti riguardo l'esito della gara: il piazzamento sarebbe potuto essere buono, al limite grazie anche a una casualità, come la rinuncia improvvisa dei più forti oppure per un inaspettato stato di grazi

Che cosa significa estate

Questa estate non la dimenticherò molto facilmente, sia per la grande quantità di foto che mia moglie ha scattato a me e a mio figlio e sia per una scoperta che ho fatto, forse banale ma per me rivoluzionaria. Iniziamo dalle fotografie e precisando che non sono le immagini a cui si riferiscono - e che potrò vedere ogni volta che lo desidererò - a far sì che l'estate 2010 rimarrà nella mia memoria, ma proprio il fatto che mia moglie ne abbia scattate tante, in ogni momento di vita quotidiana vissuta da me assieme a Dodokko. Ho apprezzato molto questo suo desiderio, di fotografarci anche quando non sapevamo di trovarci inquadrati dal suo obiettivo. E le sono molto riconoscente, perché ogni volta che ha fatto clic con la sua macchinetta ha voluto evidenziare un bel momento del rapporto particolare fra padre e figlio. Non dimenticherò la generosità di mia moglie in questo e la ringrazio. E veniamo alla scoperta dell'acqua calda, ossia alla scoperta del significato dell'estate.

Quando il papà è in 'dolce attesa'

Se per una volta cambiassimo la solita prospettiva e invece di dire: "Mi è nato un figlio", dicessimo: "Mi è nato un papà", a parlare sarebbe il figlio appena nato. Il quale - come si sa - ancora non sarebbe in grado di esprimersi con le parole, però potrebbe già delegare, soprattutto qualora fosse in presenza di genitori attenti e sensibili, che in sua vece potrebbero prendere la parola. Proprio come ha fatto il pediatra Alessandro Volta, nel suo libro Mi è nato un papà , appena uscito per le edizioni Urra - Apogeo, che ha voluto scrivere un racconto partendo da un punto di vista inedito: quello dei padri in attesa del lieto evento ovvero di ciò che passa per la loro testa durante la gravidanza delle loro compagne. E che - scrivendo - ha dato la voce alla piccola Lisa, la quale ha potuto così assistere alla nascita de' 'Ilpapà', del genitore venuto al mondo nello stesso istante in cui lei stessa è nata. Chissà se si potrà mai parlare addirittura di 

Come la capocchia di uno spillo

Vi sono braccia che si allargano e mani che si tendono verso chiunque, come quelle del neonato che ho visto nel treno. Un sorriso, il suo, rivolto non solo verso chiunque incrociasse con gli occhi, ma anche all'indirizzo di chi non si accorgeva affatto di lui, ma che tuttavia sapeva eccitarne la curiosità. E vi sono sguardi e parole che bambini ormai più grandi, come Dodokko, dedicano solamente ai genitori. Il mondo si contrae inevitabilmente da una certa età in poi. Si incomincia a classificare, a dare un ordine, a fare una graduatoria delle cose fondamentali e di quelle che non sono tanto importanti. La gente non è più tutta uguale, indistinta, allo stesso modo benevola. Ci sono persone con cui si può parlare e altre con cui è meglio starsene in silenzio. Ci sono papà distanti, come me in questi giorni, a causa del lavoro, con i quali si può urlare al telefono: "Vieni da me, ora! Perché devi sempre lavorare? Voglio che vieni subito, stasera!". Non vi sono altre persone

Così dev'essere

Nel post precedente ho scritto che anche i bambini non sono esenti dai condizionamenti e che "ciò che mi sconcerta davvero è propriamente l'azione - per così dire - dal basso, dal banale, dal quotidiano più stupido, finalizzata al controllo, all'ortodossia, al 'così dev'essere'". Ho appena terminato di leggere Caino, l'ultimo libro pubblicato da Feltrinelli di José Saramago, il premio Nobel per la letteratura, lo scrittore ateo e materialista morto a giugno, già autore del Vangelo secondo Gesù Cristo. Vorrei citare alcuni estratti di Caino , senza commentarli, così come si usa mentre si guardano le immagini parlanti di un film muto. Si tratta - questa volta - di esempi di azioni dall'alto, finalizzate come sempre al 'così dev'essere' e dirette verso l'Umanità tutta, bambini inclusi. Anzi, qui certamente si ha a che fare con l'Esempio e l'Azione, con le lettere maiuscole. Esempio e Azione, tuttavia, imperscrutabili. "Ad

Mio figlio gioca con le bambole

Sono convinto che un figlio lo si debba amare per quello che è, non soltanto quando ci compiace. Fin dal primo giorno di vita, il bambino non appartiene ai genitori, non è - lo dimostrerà sempre di più - una loro emanazione. E' e sarà una persona unica, con qualche istruzione - ricevuta da parenti, insegnanti e amici, ma comunque rielaborata - che eventualmente avrà deciso di trattenere. Le esperienze che farà saranno soltanto sue e nessun avvertimento, nessun buon consiglio varrà quanto ciò che vivrà direttamente. Nessun insegnamento sarà per lui tanto fondamentale quanto la vera vita, quella vissuta. Spero che mio figlio diventi il più possibile una persona indipendente. Tuttavia, già a partire da oggi, il mondo in qualche maniera rema contro questa mia e soprattutto sua aspirazione naturale. Lo fa in tanti modi, attraverso mille condizionamenti, ogni giorno che passa. Non siamo liberi: è questa la verità. Ma ciò che mi sconcerta davvero è propriamente l'azione - per così dir

"Papà parla bene"

"Hai sentito cosa ha detto Dodokko?", mi chiama mio suocero, l'altra mattina, nel momento esatto in cui sto per aprire la porta di casa e uscire per andare al lavoro. Torno indietro e chiedo: "Che ha detto?". "Che papà parla bene", mi riferisce testualmente il nonno di mio figlio davanti a lui. La cosa mi fa piacere, ovviamente, ma saluto di nuovo e vado via, mentre fra me penso a come possa fare un bambino di tre anni a distinguere se uno parla bene oppure male. Rifletto ancora un po' su quella frase e alla fine giungo alla conclusione che ciò che Dodokko ha voluto dire veramente è che "papà (mi) parla (bene)". Ossia che noi, quando stiamo insieme, semplicemente passiamo molto del nostro tempo a parlare. E questo sì , invece, che il mio bambino lo sa. Noi due parliamo sempre, di tutto, senza censure, senza risparmiarci con spiegazioni, commenti, analisi e risate. Non soltanto da parte mia, ma anche da parte sua. Siamo due veri interlocut

All'angolo della strada

Quando io stesso ero mio figlio l'estate mi tirava per la maglietta e il giorno era della stessa materia con cui è costruita l'eternità Durava quel tanto che doveva ma la felicità mai esauriva. Quando io stesso ero mio figlio momenti di totale disperazione aspettavano all'angolo della strada E io afferravo anche quelli con le mani in tasca e il sorriso sul volto. Ora che sono diventato mio padre posso dirlo che non c'è mai stata questa linea di confine fra ciò che era prima e ciò che dopo è accaduto Ché c'ho girato intorno alla vita. All'angolo della strada ho trovato quel che avevo perduto Le foglie sono volate via una sera e poi sono tornate a colorare l'albero Sotto al cielo aperto le radici sono mani che scavano nella terra. (2010)

Vite parallele

E' sempre così: come passare davanti a un cinema e non entrare. Restarsene a guardare le locandine, lì di fuori, mentre il film inizia. Ma può essere anche così: come entrare nel cinema e vedere un pezzo soltanto del film. Uscire a metà della storia, il racconto che prosegue comunque, con o senza di te. Gli ospedali mi fanno uno strano effetto, dovuto al tipo di esistenza, quella degli ammalati, che si svolge al loro interno, mentre la tua ha un corso completamente differente, fuori dal cancello o dalle vetrate dei reparti. Vite e storie diverse, che non si incontrano mai: parallele, vicine eppure distantissime fra loro. Non cambia niente se te ne stai dentro, ricoverato, oppure fuori, sano come un pesce. Il punto di vista di partenza non ha alcuna influenza sullo svolgersi delle storie parallele dei sani e degli ammalati. Il fatto è che ciascuna ha un orizzonte costruito con un muro di mattoni e che le finestre stanno sempre troppo in alto per guardare dall'altra parte. Sei sa