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Papà, chi ti ha insegnato ad andare in bicicletta?

Temuto e atteso, allo stesso tempo e nonostante tutto. E' giunto, infine, il momento.  Preannunciato e celato, senza alcuna intenzione, questo è ovvio, dalla banalità di un'altra domanda densa di conseguenze: "Papà, chi ti ha insegnato ad andare in bicicletta?".  Una risposta scontata e, subito dopo, la Domanda. Ancora una risposta...una mezza giustificazione...il cielo, gli angeli...che altro dire? "Ma in cielo non stavano soltanto i bambini, prima che nascessero?". "Anche dopo si va in cielo". Oppure si resta sempre sulla terra, che in fin dei conti è anch'essa un astro... Fra il prima e il dopo, fra l'inizio, prima di tutto, e la fine, dopo che tutto è accaduto, c'è semplicemente la vita. La mia, la tua, la nostra vita. Non c'era niente prima, non ci sarà nulla poi. Solamente un buio totale esiste e non so nemmeno quanto sia giusto dire che il buio, il niente, esista. A parte la nostra testimonianza, ora, i nostri ricordi di oggi

Mamme cattivissime? La madre perfetta (non) esiste

Mamme cattivissime? La madre perfetta non esiste è il titolo con cui è stato tradotto in Italia Le conflit. La femme et le mère , il best seller di Elisabeth Badinter che in Francia ha venduto fino a oggi più di 200mila copie. Rispetto a quello originale, il titolo italiano è soltanto apparentemente provocatorio: la possibilità di una sentenza negativa e sconvolgente, implicita nella domanda ma edulcorata fin dal punto interrogativo, è riportata nei ranghi della normalità dal dato 'obiettivo' che non attribuisce la perfezione a essere umano alcuno e, di conseguenza, neanche alle madri. Inoltre - ma questo lo vedremo meglio in seguito - per la Badinter la madre perfetta esiste eccome: mi chiedo dunque se la scrittrice sia stata informata dalla casa editrice italiana (Corbaccio) su come avrebbe tradotto il nome del suo libro. Molto più provocatoria ( ne avevo già parlato lo scorso anno ) è invece la presunta conflittualità che, secondo la filosofa femminista francese, scaturisce

Fiori di un'altra primavera

Dodokko ha indossato il piumino dello scorso anno, quello che gli stava un po' largo e che ora invece è finalmente della sua misura. Con l'arrivo del primo freddo, ha messo le mani in tasca una mattina che lo accompagnavo a scuola. C'era un bel sole invernale, un tondo giallo, nel cielo, appena stemperato dalla nebbia ma sufficiente, se non a riscaldare, a dare calore e a confortare il cuore.  E' stato con l'animo rasserenato con poco che, mentre camminavamo, mio figlio ha tirato fuori dalle tasche delle margherite secche, dimenticate nel buio della federa dalla primavera precedente. Dopo aver stentato a riconoscerli, gli ho spiegato cosa era accaduto a quei fiori appena spuntati qua e là sui prati, nonostante il freddo, e raccolti in un'altra, lontana giornata di sole.  Erano fiori belli e che brillavano di luce. Erano vellutati come una carezza, perfetti nel taglio dei petali bianchi e compatti nel mazzolino interno: tanti piccoli e delicati soli, capaci di ri

Maschere

Accade sempre, prima o poi, che si indossi una maschera: di circostanza o di convenienza o anche per altruismo, per fare felice qualcuno. Gli adulti, perfino i più sinceri e trasparenti, hanno l'abitudine di farlo e spesso riescono a non tradire se stessi. I bambini, invece, che hanno appreso da poco tempo come mostrare un'apparenza di sé diversa dai sentimenti e dai desideri del momento e dal proprio io, a volte sbagliano sul più bello, non riuscendo a dissimulare fino in fondo, a fare finta di niente. Così, è sufficiente uno sguardo protratto (non necessariamente indagatorio ma che cerchi semplicemente di capire) da parte di chi amano per far saltare ogni copertura. Gli occhi chiamano gli occhi e il guardarsi in questo modo richiama lacrime fino a poco tempo prima trattenute a stento: a volte la vista non è che una corda che scopre il velo con cui le persone a cui vogliamo bene si nascondono.  Seguono abbracci, che nelle intenzioni dovrebbero confortare, ma che altro non sono

Stupore è un sospiro

Più delle sette meraviglie e molto più che se mi trovassi, io così piccolo, ai piedi dell'Everest: è impossibile cogliere l'immensità nel suo insieme. Rimane lo stupore di fronte alla scoperta delle cose quotidiane, un sospiro che toglie il fiato. Un cassetto finalmente aperto, un tasto che si stacca dal computer, l'unghia di un dito di papà nella quale infilo la mia, l'arrivo sempre inatteso di chi voglio vedere, un suo gesto brusco e che mi fa ridere, un'immagine televisiva, un pezzo di pane trovato sul tavolo, una fetta di mela aspra e dolce e che mi fa rabbrividire.  E, ancora, la soddisfazione per il traguardo appena raggiunto di riuscire ad alzarmi tenendomi al tavolino e quello, ancora più difficile, di tornare a sedermi senza cadere.  Stupore è un sospiro che nasce dopo una fatica appena compiuta o dopo esser passati attraverso mille frustrazioni. Stupore è una tenda che si apre dopo aver celato troppo a lungo meraviglie che non poteva più nascondere ed ecco

L'abbraccio

L'abbraccio (a un amico) Adesso abbracci il figlio come abbracciavi il babbo, il tuo bambino ride. Conosco il poeta Sante Pedrelli da una vita. Nel 2009 mi ha visto con mio figlio e ha scritto i versi che avete appena letto. L'ho saputo ieri, quando l'ho incontrato e mi ha chiesto se poteva fare il mio nome nella dedica della sua poesia. Ovviamente gli ho risposto di sì. Non solo per un fatto di amicizia e di affetto che provo per lui e per sua moglie, ma anche perché lo considero un artigiano della parola che, in tutta la sua opera, è riuscito a fare qualcosa di difficilissimo: rendere sublime la semplicità e poetica l'essenza cruda della vita.  Senza che lui lo sapesse quando le ha scritte, queste tre righe rappresentano la sintesi perfetta dello spirito del mio blog.

Quel senso di abbandono che segna l'infanzia

Una lettrice mi ha scritto di recente: "Mi chiedo come rendere felici i miei figli, mi chiedo come evitargli quel senso di colpa e abbandono che ha segnato la mia infanzia". Le ho risposto: "Sta' loro vicino più che puoi e, quando non puoi, rassicurali, parla con loro, abbracciali". Non conosco  l'infanzia di questa persona e so che le mie sono parole insufficienti, ma non ne ho di migliori e me ne dispiaccio. Il senso di abbandono non è l'abbandono in sé, ma ciò che si sente come tale, sia da parte di chi lo mette in atto e sia da parte di chi lo subisce. Il senso di abbandono, il più delle volte, è un'interpretazione di un azione che commettiamo o che ci viene rivolta. Questo sentimento coinvolge e stravolge la nostra coscienza, così da farci sentire, a seconda dei casi, vittime o carnefici. Ma se è vero che a un bambino non è richiesta una capacità di critica rispetto a ciò che gli accade e alle persone che ama, un'autocritica riguardo il loro

Emozione è un respiro

Emozione non è una parola, ma un respiro. E' un battito, un salto del cuore. E' il sangue che palpita e avvampa il volto in un secondo. Emozione è l'aria di cui abbiamo fame e sete, quando siamo davvero affamati e assetati. Emozione è il brivido dell'acqua gelata e lo scomporsi senza controllo del torace nel riprendere fiato. Emozione è l'urlo improvviso, mai pensato, né tanto meno mai previsto o ipotizzato. Emozione è il pianto irrefrenabile e che non cessa mai, neppure dopo che è terminato. Emozione sono i singhiozzi intrattenibili, l'eco infinita di un dolore. Emozione sono questi due bambini, talmente inermi e sensibili da saper emozionare perfino le cortecce morte degli alberi.  Questi vecchi che non possono fare altro che osservarli da lontano. Da chilometri di distanza, ere geologiche, anche se sono a due centimetri soltanto dal loro respiro.

Scontri a Roma, come si può confondere la libertà con la violenza?

Telegiornali, trasmissioni di approfondimento, siti internet e quotidiani hanno parlato tutti dei fatti violenti successi a Roma sabato scorso. Molti di questi hanno raccontato anche di un fotoreporter colpito violentemente alla testa da un mattone lanciato nel mucchio. Del tutto casualmente, la traiettoria della pietra era abbastanza obliqua da non ferire a morte questa persona che si trovava fra i tafferugli per fare il suo lavoro. Sarebbe stato sufficiente che egli fosse voltato di un solo centimetro alla sua sinistra o che l'oggetto lanciato in aria compisse una volo più diretto verso la sua faccia che adesso egli non sarebbe qui a scrivere queste quattro e inutili righe sul suo blog.  Per fortuna è andata bene: solo un po' di sangue e alcuni punti di sutura al pronto soccorso. Poi in serata sono tornato a casa e i miei figli hanno trovato perfino divertente vedere sulla mia testa una benda tanto vistosa. Il neonato si è messo a ridere, non riuscendo a decifrare meglio il m

Caro Steve Jobs, ma come si fa a essere affamati e folli?

Caro Steve Jobs - permettimi anzitutto di darti del tu e di usare il confidenziale "caro" anche se di persona non ti ho mai incontrato, ma a me, come ad altre milioni di persone, sembra di conoscerti da una vita, almeno da quando, correva l'anno 1997, comprai il mio primo Mac per scrivere la mia tesi di laurea.  Caro Steve Jobs - dicevo - mi auguro che tu possa ascoltarmi dal posto in cui ti trovi ora - e spero proprio che questo non sia la nuvola iCloud e né, per farlo e sempre che la cosa ti interessi, che tu ti avvalga di un iPhone o di un iPod o di un iPad o di un qualsiasi altro marchingegno da te inventato.  Caro Steve, nel 2005 anch'io, come tanti altri, lessi il discorso fatto da te all'università di Stanford. E ovviamente, in quell'occasione, non potei non condividere il tuo pensiero. Come non essere d'accordo, infatti con ciò che dicesti allora, ovvero che "il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. N