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Due fratelli

A volte un colpo di fortuna può trasformarsi in una sciagura e rovinare la vita di chi ne è colto. La storia di cui sto per parlare me l'ha raccontata la persona che la scorsa estate mi ha affittato la sua casa al mare, nel sud dell'Italia, dove abbiamo trascorso le vacanze. Con gentilezza e disponibilità, un giorno mi accompagna con la sua macchina a fare degli acquisti e, fra gli altri posti nei quali ci fermiamo, c'è un banchetto di frutta e verdura ai margini di una strada di campagna. Io compro quel che mi serve, uva, pesche, insalata e melanzane, lui prende alcune cassette di pomodori che gli servono per fare le passate per l'inverno.  Il fruttivendolo è aiutato dalla moglie nel suo lavoro, è un tipo taciturno, che ci passa quel che ci serve senza parlare e che, quando si rivolge alla consorte, lo fa con dei gesti accompagnati da monosillabi. Alla fine della spesa, saluta il mio accompagnatore senza sorridere e neanche risponde al mio "arrivederci". Cari

La casa bianca

Mi è capitato qualche giorno fa di andare in una casa bianca (a Roma, non a Washington). E' l'appartamento di un amico di Dodokko che vive assieme alla mamma e a una cameriera-baby sitter. La madre del piccolo è separata da qualche anno, è una modaiola incallita, griffata da capo a piedi e che griffa anche il figlio. I loghi che ostenta, così come il telefonino all'ultimo grido, le conferiscono la sicurezza di cui ha bisogno nei rapporti con gli altri. Niente di male, in questo: preferisco una persona di tale specie a una che, per le stesse ragioni, si rovina la salute con le sigarette o gli psicofarmaci. E poi, chi non ha bisogno di sentirsi certo con gli altri e al sicuro in casa propria?  Anche per questo motivo l'appartamento è prevalentemente bianco, così come suggerito dagli ultimi numeri delle riviste di arredamento, ma il bianco che impera negli abiti, nelle automobili e nei cellulari, a me non piace affatto. Anche se il bianco, ce lo hanno insegnato a scuola, è

L'orologio in cucina

L'orologio in cucina segna le quattro, cinquantacinque minuti e cinque secondi, ma potrebbero benissimo essere le sedici, cinquantacinque minuti e cinque secondi. L'orologio nella cucina della casa, dove sono nati i miei bambini e dove qualche volta torniamo, infatti, non dice la verità. E' fermo e ha interrotto il suo tentativo di inseguire il tempo in un certo momento della sua vita, di mattina molto presto o nel pomeriggio di un giorno ben preciso, ma non è dato sapere quale, infatti questo orologio segna le ore, i minuti e i secondi, non i giorni, e nemmeno gli anni.  Ho osservato più volte l'orologio della cucina durante la mia breve permanenza in questa casa per le feste di Natale, nell'attesa, non dico nella speranza, che almeno la lancetta dei secondi scattasse, magari una volta soltanto, e si spostasse di una tacca, grazie non a un ultimo anelito delle batterie, che ormai saranno completamente esaurite, ma per una minima forza di inerzia, una ruotina dentat

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno. In tutto il mondo retto da questo calendario le persone si intrattengono a dibattere con se stesse le buone azioni che intendono mettere in atto nell’anno che incomincia, giurando che saranno rette, giuste ed equanimi, che dalla loro bocca emendata non uscirà mai più una parola cattiva, una bugia, un inganno, anche se il nemico se lo meritasse, è chiaro che è degli uomini comuni che stiamo parlando, gli altri, quelli d’eccezione, fuori dell’ordinario, si regolano in base a ragioni proprie per essere e fare il contrario sempre che ne ricavino gusto o interesse, questi sono coloro che non si lasciano illudere, arrivano a ridersela di noi e delle buone intenzioni che mostriamo, ma, alla fin fine, lo impariamo con l’esperienza, già nei primi giorni di gennaio abbiamo dimenticato metà dei nostri propositi e, avendo tanto dimenticato davvero non c’è motivo di tener fede al resto, è come un castello di carte, se sono già caduti i piani alti, è meglio che rov

Qualcuno alle loro spalle è scomparso per sempre

I bambini sono nella stanza accanto e la signora mi dice: "Mi è dispiaciuto per tua zia". "Non dire niente a Dodokko: le era affezionato", mi raccomando subito, aggiungendo ad alta voce un pensiero che mi viene in mente lì per lì: "Questi bambini non fanno in tempo a girarsi da una parte che qualcuno alle loro spalle scompare per sempre". "Dov'è?", chiederanno un bel giorno e la risposta sarà vera o falsa, a seconda dell'età che avranno in quel momento, oppure una mezza verità o una mezza bugia, che è la spiegazione più probabile che potremo dargli, ne sono convinto, fra qualche anno soltanto. Ma il fatto resta, ed è che, ai loro occhi, la gente sparisce, all'improvviso, di punto in bianco, senza una ragione e senza la minima spiegazione. Poco prima che morisse mio padre, fu proprio questa zia a dirmi come stavano le cose e ciò che sarebbe successo di lì a pochi giorni. Eravamo a Milano, in una macchina che ci portava all'ospedale

Gli sdraiati: quando il dialogo fra padri e figli adolescenti è 'inesistente'

Se ne stanno stesi sul divano, col telefonino in mano o con il tablet, a ciattare e, se li interrompi, rispondono al massimo con dei monosillabi. Sono con se stessi, ciascuno per conto proprio, anziché con gli altri. Preferiscono inviarti un sms anche se ti trovi nella stanza affianco, invece di venirti a parlare di persona. Prendo spunto da Gli sdraiati , il libro autobiografico di Michele Serra che non ho ancora letto e che mi è stato segnalato, per scrivere a mia volta qualche nota autobiografica sul rapporto fra padri e figli adolescenti. Ma prima di iniziare vorrei fare un avvertimento o una premessa per così dire 'propedeutica' al racconto della mia esperienza.  Come dice Serra, è la rarefazione - sempre più marcata a causa delle nuove tecnologie - dei rapporti interpersonali alla base del dialogo 'inesistente' fra generazioni diverse. Ma la mancanza di comunicazione fra padri e figli non è dovuta al silenzio degli uni o degli altri, come sostiene lo psicanalista

Sport nazionale

Francis Scott Fitzgerald  "Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. «Quando ti vien voglia di criticare qualcuno», mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu». Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo". L'incipit del Grande Gatsby mi è rimasto in testa da quando lessi, una ventina di anni fa, il romanzo di Fitzgerald. Lo stesso messaggio, di non criticare il prossimo, lo giro ai miei figli non solo perché gli altri possono essere più sfortunati di loro, ma soprattutto perché considero una cosa orrenda quella di parlare male delle persone a loro insaputa. Eppure, sparlare degli altri è un atteggiamento diffusissimo: forse è il vero sport nazionale, un'attività a cui personalmente, sembrerà incredibile, non ho mai preso parte. Prima di incominciare

Aristocratici

Ma sì, è già un poco che ci penso e allora, dato che oggi ho tempo, questa cosa la scrivo. L'occasione me la offre quel capannello di quattro mamme ferme, come ogni mattina, all'ingresso della scuola. Parlano della classe, dei bambini e delle maestre, a volte anche di altri genitori. Spettegolano, soprattutto, su questi argomenti. Sono un gruppo di aristocratiche, non nel senso che appartengono alla nobiltà, ma nel significato più stretto di chi si ritiene migliore  di altri, costituisce un piccolo gruppo chiuso che include soltanto quelli come loro, i 'migliori', ed esclude, allo stesso tempo, tutti gli altri, i 'peggiori', secondo loro, la maggior parte delle persone. L'aristocrazia ha esattamente queste origini e il suo motto è: "Noi pochi siamo migliori di voi tanti e, dato che siamo migliori di voi, comandiamo noi, mentre voi fate quello che diciamo noi". Sono persone che, per ottenere ciò che vogliono corteggiano  gli altri, si fanno la corte

"Alcune di queste immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità"

"Alcune di queste immagini potrebbero urtare la vostra sensibilità": è l'avviso che il sito di Repubblica ha fatto ieri ai lettori che si accingevano ad aprire la galleria fotografica di Zili, il bimbo cinese in catene .  Orbene, le immagini del fotografo della Reuters William Hong mostrano un bambino di undici anni con una catena a un piede che lo accompagna fin da piccolo, da quando cioè, dopo aver sbattuto la testa, il bimbo si è mostrato 'aggressivo' e 'ingestibile' da parte del nonno che lo 'accudisce'.  "Queste foto - racconta la didascalia - hanno contribuito a rilanciare il caso dei bambini dimenticati che in Cina rappresentano numeri da record, anche perché molti casi sono 'nascosti', nelle aree delle province più lontane del Paese". "Grazie a queste immagini - conclude il breve testo che le accompagna - si sono mobilitate per il piccolo Zili le associazioni per la tutela dell'infanzia". Meno male che c'

Un cinque e un quattro

Un cinque e un quattro.  "Cosa sono quei numeri sul braccio?".  "Sono i giorni che mancano alle vacanze: ieri cinque, oggi quattro". Sono anche gli ultimi giorni al centro estivo. Se li è scritti con la penna sulla pelle, soltanto i primi due, poi ha dimenticato di continuare fino al numero uno, fino all'ultimo giorno di scuola, o allo zero, se esiste un giorno zero. Il tempo passato all'asilo è stato non solo ben accettato ma proprio bello. Un sorriso di soddisfazione ha sempre accompagnato i bambini all'uscita dalle loro classi. E quando al mattino li portavo a scuola, ci lasciavamo senza drammi, soltanto gli occhi seguivano quelli dell'altro fino alla porta. Poi, ciascuno di noi a fare quel che doveva...chissà se il pensiero, ancora per poco, chissà se la memoria, se i ricordi recenti... Un cinque e un quattro. E il tempo ha interrotto il suo corso. Le vacanze sono arrivate e se ne sono andate, con il loro carico di aspettative e di contraddizioni