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Ottava lettera: scegliere

Sono cose che ogni tanto vengono in mente, specialmente in un momento di fantasia stravagante, ma che poi se ne vanno, lasciando il posto a un modo di ragionare normale e conformista. E alla voglia di attribuire responsabilità o colpe, più raramente meriti. Pensieri al di fuori da ogni logica, per i quali non vale la pena di perder tempo a dargli retta, figuriamoci se abbiamo la minima intenzione di approfondirli. Per fortuna, invece, qualche volta c'è chi decide di seguire la scia di certe illuminazioni e, stravolgendo le regole, ti fa guardare il mondo da una prospettiva diversa, spesso diametralmente opposta a quella ortodossa.  Questa persona si chiama José Saramago. E' lui che ha detto, rovesciando completamente il modo comune di pensare, che le decisioni prendono l'uomo e non il contrario, come solitamente si pensa.  “La decisione del Signor Josè apparve due giorni dopo - scrive il Nobel portoghese in Tutti i nomi - . Generalmente non si dice che una decisione ci appa

Settima lettera: saper ascoltare

Ai tempi dell'università, durante una lezione di Filosofia del linguaggio, il titolare della cattedra, che alcuni studenti chiamavano Dumbo per via delle orecchie a sventola, un giorno parlò dell'importanza di ascoltare: citando Zenone di Cizio, disse che siamo dotati di due orecchie e di una sola bocca perché ascoltare ha un valore doppio rispetto al parlare.  Incontrai per la prima volta questo professore non all'università, ma quando avevo dieci anni, il giorno che venne nella mia scuola elementare a tenere una lezione sulle origini della lingua italiana. Era il 1980 e Tullio De Mauro era già il linguista affermato che più di 10 anni prima aveva tradotto il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure. Era inoltre l'uomo a cui, nel 1970, la mafia aveva ucciso il fratello Mauro perché, secondo la Corte d'Assise di Palermo, il giornalista "si era spinto troppo oltre nella sua ricerca della verità sulle ultime ore di Enrico Mattei". Insomma, stor

Saunders: "I bambini non hanno bisogno di essere picchiati"

Peter Saunders In Italia quasi nessuno conosce l'irlandese Marie Collins e l'inglese Peter Saunders. Da bambini sono stati entrambi abusati dal clero: la prima da un prete, mentre era ricoverata nell'ospedale cattolico pediatrico di Crumlin, il secondo da due prelati e dal preside della scuola elementare cattolica londinese che frequentava. Oggi sono impegnati attivamente contro la pedofilia e sono stati nominati membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, istituita recentemente da papa Francesco e che venerdì scorso si è riunita per la prima volta in forma plenaria. Ebbene, perché parlo di loro? Lo faccio per il fatto che hanno criticato il discorso , fatto a braccio da Bergoglio, sul picchiare "con dignità" i figli: "Il papa a volte parla senza riflettere troppo e in modo diretto, ma è fondamentalmente una persona onesta", ha commentato Collins. Meno morbido Saunders, che ha dichiarato, prendendo le distanze dalle affermazioni del San

Caro papa Francesco, chi picchia i figli non ha il senso della dignità

"Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi. Una volta ho sentito in una riunione di matrimonio un papà dire: “Io alcune volte devo picchiare un po' i figli … ma mai in faccia per non avvilirli”. Che bello! Ha senso della dignità. Deve punire, lo fa in modo giusto, e va avanti". Sono le parole di papa Francesco , pronunciate durante l'Udienza generale dello scorso 4 febbraio. Quando le ho ascoltate al telegiornale della sera, sono rimasto a bocca aperta: come si può associare - mi sono chiesto - la parola dignità al fatto di picchiare i figli? Come può il papa ammettere la violenza, magari attraverso una punizione minima, ma pur sempre contro un bambino? Chi picchia non ha senso della dignità, né propria e né verso il figlio. Il non picchiarlo in faccia non risparmia quest'ultimo dall'avvilimento, semmai serve a nascondere i segni che sul viso si vedrebbero. Il padre, che non picchia in faccia il figlio, ma altro

Sesta lettera: chi sono io per giudicare?

Ogni nostra espressione, qualsiasi pensiero ci salti per la testa, qualsivoglia scelta possiamo compiere contiene un giudizio, una valutazione, una nostra considerazione riguardo qualcosa che è altro da noi. Perfino una semplice asserzione, pensata o detta, è un giudizio, dal momento che contiene un soggetto e un predicato: è un discorso logico, ma anche molto concreto. Non possiamo proprio esimerci dal giudicare e, insieme, dall'affermare e dal negare contemporaneamente. In termini molto semplici, se dico che una cosa è bella, sostengo allo stesso tempo che essa non è brutta: sono i limiti del giudizio, più che evidenti nella parzialità logica nella quale agiscono. Affermo, giudico e, nel farlo, nego una varietà consistente di implicazioni. Il giudizio non è mai imparziale, perché chi lo emana non è onnisciente e perché non può che rivolgersi soltanto a una fetta di mondo. Ed è relativo, perché si basa solamente su ciò che si prende in considerazione, tralasciando una serie infini

Quinta lettera: ricevere (in prestito) e restituire

Tanto tempo fa sentii questa frase che mi colpì molto e che suona più o meno così: "Tutto ciò che possediamo lo abbiamo ricevuto in prestito". Ancora oggi non mi sono fatto un'opinione netta riguardo questa affermazione. Non so decidere, infatti, se essere d'accordo oppure in contrasto, in particolare con le implicazioni che derivano da una simile posizione. Soprattutto alla luce di una cosa di cui, al contrario, sono assolutamente convinto, e cioè che tutto quel che abbiamo, preso in prestito o non, un giorno dovremo comunque restituirlo o, per lo meno, consegnarlo ad altri. Non credo che tutto, ma proprio tutto, ci venga dato o che lo riceviamo grazie al contributo di altre persone. Alcune cose, infatti, riusciamo a conquistarle soltanto per la nostra determinazione e con le nostre forze e capacità, spesso soltanto dopo essere riusciti ad avere la meglio su chi queste stesse cose non voleva cederle. In prestito o meno, domani daremo ad altri quel che abbiamo avuto i

Svegliatevi, mammine! (di Enzo Baldoni)

Ogni tanto, quando la cronaca me ne offre la triste occasione, ripenso a questo articolo di Enzo Baldoni, il giornalista ucciso in Iraq nel 2004. Parla di una storia personale di pedofilia e avverte i genitori di proteggere i propri figli da una categoria ben precisa di persone: gli uomini. Perdonatemi se vi racconto un’esperienza personale. Di quelle che non si raccontano volentieri. Ma sono convinto che vi servirà. E poi basta col silenzio su queste cose. Il silenzio è sempre colpevole. Dunque: c’era questa bambina deliziosa, di nome Gabriella. Alla sera le rimboccavo le coperte e le raccontavo strane storie: Ulisse, la corsa all’oro di Jack London, la follia di Orlando, la Genesi (con un’Eva bisbetica, un Adamo perplesso e un Dio pasticcione che diceva “Oh, cazzo, mi sono sbagliato, ho creato le pulci”). La domenica mattina passavamo ore nel lettone a ruzzolarci, a giocare, a ridere, a coccolarci. D’estate, quando faceva caldo, naturalmente eravamo nudi. Tra un viaggio di Ulisse e u

Quarta lettera: la paura di perdere qualcuno

È qualche giorno che mi abbracci più del solito e che ogni tanto mi dai un bacio, spontaneamente, senza alcun motivo particolare, addirittura senza che io stesso te lo chieda. L'ho notato e ti ho domandato, scherzando, "come mai ultimamente mi vuoi così bene?". Non mi hai risposto.  Poi, l'altra sera ti sei messo a piangere: volevi che dormissi con te. Ti ho chiesto cosa ti preoccupasse e tu, all'inizio, non volevi parlarmene. Poi, però, mi hai raccontato del brutto sogno che avevi fatto e del mostro che voleva catturarmi.  "Ma ci riusciva?", ti ho domandato. "No - mi hai detto - però il sogno non è finito e ho paura che continui stanotte". "Ma il mostro non riuscirà a prendermi, io sono fortissimo, più di Spiderman e di Superman messi insieme", ti ho assicurato. Mi hai guardato un po' scettico, ma non hai voluto contraddirmi. Mi sono sdraiato affianco a te fin quando ti sei addormentato, poi sono andato nel mio letto. La mattina

Terza lettera: l'uguaglianza

Avete sette e quattro anni e da un po' di tempo bisticciate spesso su ciò che è dell'uno e quel che appartiene all'altro. Non riuscite quasi mai a mettervi d'accordo, perché pensate che le cose scelte dall'altro abbiano un valore maggiore delle proprie. Continuate a litigare e allora decido io per voi: "Non ci sono cose tue e cose tue - vi dico -, tutto è di entrambi". E questa mia conclusione è chiaro che non vi soddisfi - desiderare la proprietà esclusiva delle cose fa parte della natura dell'uomo e forse, più dell'oggetto in sé, a interessarci davvero è il controllo che attraverso la proprietà possiamo avere su chi la stessa proprietà non ce l'ha e la desidera. Questa conclusione non fa parte soltanto del mondo degli adulti, ma riguarda anche i bambini, i quali, forse anche per questo motivo, quasi mai disdegnano il fatto di mettere in mostra ciò che possiedono di fronte ai compagni. E' per tale ragione che, qualche giorno fa, ho deciso

Seconda lettera: l'amore

Eri ancora piccolo, avrai avuto quattro anni, e un giorno ti arrabbiasti per un motivo che ora non ricordo e mi dicesti, perentorio: "Non ti voglio più bene". Pronunciasti la tua frase in un momento di rabbia e per un motivo probabilmente futile, ma che allora doveva apparirti come la ragione più importante del mondo, e sono sicuro che lo fosse, dato che le ragioni ci appartengono e possono essere grandi o piccole, come e quanto lo decidiamo noi. Ma lì per lì sorrisi e sdrammatizzai abbracciandoti e ingaggiando con te una finta lotta, dalla quale saresti uscito vincitore, come sempre. Cinque minuti dopo, infatti, eri di nuovo felice. E forse avevi già dimenticato il nostro litigio e la tua decisione di non amarmi più. Ma tu sapevi davvero cosa mi avevi appena detto? Ovviamente no, a quell'età non potevi. Probabilmente nemmeno oggi sai cosa sia il bene e anch'io, a dire il vero, non so molto dell'amore. L'amore, infatti, non è una cosa da sapere, ma un sentimen