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Tredicesima lettera: il dolore

Qualcuno ha detto che, più che conoscere, noi esseri umani, siamo in grado di ri conoscere. L'uomo che stamattina ho visto attraversare la strada, mentre ero fermo al semaforo a guardarmi attorno, assomigliava a uno di quegli ebrei scampati da Auschwitz. Era, infatti, un cinquantenne tutto pelle e ossa, alto, di carnagione pallida, i capelli molto corti e rasati sulla nuca, la schiena ingobbita sotto il peso di due pesanti borsoni.  Di prima mattina, l'aria era abbastanza fresca, ma lui portava dei sandali senza le calze. Indossava pantaloni di velluto beige puliti e stirati e una camicia con le maniche corte. Osservandolo attentamente, ho pensato che potesse essere un senza-tetto dell'Europa dell'est, che magari stava andando a cercarsi un lavoro. Soprattutto, con l'immaginazione mi sono soffermato sulla fatica che poteva compiere, un uomo tanto esile, trasportando, apparentemente senza sforzo, il contenuto delle sue valige. Ho pensato anche al freddo che lo colpiv

Dodicesima lettera: teoria della torta ovvero come aggiungere valore

E' molto tempo che giro attorno all'argomento del valore  e oggi ne scrivo perché solo adesso sono riuscito a capire da cosa dipendesse il blocco che fino a ieri mi impediva di farlo. Sono una persona molto scettica, senza facili entusiasmi: un'infermiera, a cui l'altro giorno ho chiesto delucidazioni riguardo una terapia che devo seguire, mi ha detto senza mezzi termini che ho "una diffidenza assoluta" verso il protocollo. Questo, soltanto per aver fatto una domanda di troppo. Ci pensate: teoricamente una domanda è tale, ossia è il contrario di una risposta. Quelle che faccio io, poi, non sono mai retoriche, ma le più neutrali che posso, cioè vogliono lasciare aperta ogni possibilità di risposta, non ne contengono alcuna, già predeterminata, dentro di sé. E, invece, sono diffidente... Una persona scettica, invece sì e, in quanto tale e poco entusiasmabile, tendo a guardare il mondo nelle sue particelle elementari. E mi accordo che è soltanto grazie al modo di

Antonello

Tutto sarà durato meno di un minuto. Escluso il tempo che ci ha messo per scendere e bussare alla porta e quello che ho impiegato io per vestirmi e salire al piano di sopra.  La signora si scusa in anticipo per il disordine in casa. Il figlio cinquantenne è per terra, accanto a un divano, nella stanza a destra, appena dopo l'ingresso. E' caduto dal letto, nella camera in fondo al corridoio, e la madre - me lo racconta lei stessa - lo ha trascinato per i piedi fino al solottino. E' troppo pesante, il figlio, perché lei riesca a sollevarlo da sola e a farlo sdraiare sul divano. E anche insieme ce la facciamo a stento. Io lo prendo dalle braccia, lei dalle gambe e, quando è ancora soltanto appoggiato all'inizio della seduta, ancora in bilico, lei lo incita, ripetendoglielo tre, quattro volte di seguito,  a "spostare il culo verso lo schienale". Nel frattempo lui mi osserva, come si guarderebbe un estraneo (questo in realtà sono) che comparisse di punto in bianco

Il re della fattoria

E' un po' di tempo che lo osservo, questo bambino di quasi cinque anni, al quale il mondo appare alla rovescia. Dice che il latte è freddo quando invece è caldo, fa finta di nulla quando si fa male, non piange e nasconde la ferita, definisce volentieri se stesso brutto o cattivo, a seconda dell'occasione, quando è vero esattamente il contrario.  E' un dislessico non nella parola, ma nel modo di pensare. Oppure è un tipo semplicemente originale, non ancora normalizzato, che afferma di saper contare soltanto fino a otto, mentre io l'ho sentito molte volte arrivare senza intoppi almeno fino a venti. Dice spesso: "quando eravamo morti..." e "il giorno che saremo piccoli", senza sapere nulla di teorie che parlano di reincarnazione o di vite precedenti. E io non lo contraddico, perché ne so meno di lui di queste cose e l'unica certezza che possiedo è che, soltanto ad accennare di questi argomenti, si sbaglia come niente. Mi piace così com'è, il

Vento

Stasera ho ascoltato Angelo Panebianco dire che il proprio percorso formativo è stato piuttosto lineare, che non vi sono stati stravolgimenti particolari nel passaggio dagli studi al lavoro. "L'unica vera rivoluzione nella mia vita - ha detto - c'è stata con la nascita dei miei figli, nel momento in cui ho capito che qualcun altro dipendeva totalmente da me". Ho sentito dire molte volte che la nascita di un bambino porta a un cambiamento radicale nella vita delle persone, nel momento che queste divengono genitrici. Non posso non condividere questa affermazione: essere genitori significa troncare con un passato privo di responsabilità mai tanto dirette.  Eppure, nel momento stesso nel quale assume questo ruolo, il neo genitore non cessa di essere figlio, anzi: il suo essere padre o madre lo rimanda costantemente al periodo nel quale erano i propri genitori a prendersi cura di lui, agli anni in cui egli stesso era figlio. Ai ricordi di un tempo, all'esperienza, agli

Undicesima lettera: fratture

Ci ho messo circa trent'anni, il periodo di tempo intercorso dal giorno in cui a quindici anni mi ruppi il braccio a oggi, per capire che la parola 'frattura' non significa semplicemente 'rottura' ma soprattutto 'distanza'. Quando parliamo della frattura di un arto, infatti, pensiamo alla rottura di un osso, non all'allontanamento di una parte di esso dalla sua sede naturale o al suo distacco, che è invece ciò a cui fanno riferimento ai medici. Gli ortopedici che hanno curato il mio figlio piccolo, che si è spezzato l'omero due settimane fa, hanno tentato di "ridurre" la frattura - così si sono espressi - con un intervento chirurgico e l'ingessatura dell'arto. Nei sei giorni trascorsi in ospedale assieme al mio bambino, mi sono venuti in mente alcuni tipi di fratture, più o meno insanabili, ma a volte anche guaribili. "Papà, quanto dura la morte?", mi ha chiesto il figlio piccolo qualche giorno prima di farsi male. E io ho

Decima lettera: essere e apparire

I due modi di 'essere' spesso coincidono e sarebbe più giusto, e soprattutto più vero, dire "essere è apparire" anziché distinguerle, queste due possibilità di vivere. Alcune persone che conosco coltivano una propria immagine, la alimentano e hanno paura di apparire diversamente da come vogliono. Ci sono uomini che vestono i panni di personaggi più o meno reali, a volte immaginari e che corrispondono alle loro aspirazioni, a ciò che vorrebbero essere. Sono atteggiamenti, quelli che hanno, che si sono protratti oltre il periodo adolescenziale e che manterranno per tutta la durata della loro esistenza. Spesso, non solo si ispirano ad altri e aspirano a essere come loro, ma addirittura fanno finta di essere altri, finendo per crederci per primi: è qui, in questo fenomeno patologico, di scambio di posto fra l'apparenza e l'essere, dove la prima sostituisce il secondo, che quest'ultimo si perde.  Conosco un popolo di attori che recitano in film dove non esiste

Abbracciarsi

La bellezza di questo video è tutta nell'abbraccio finale. Che dice: "Ti voglio bene, chiunque tu sia". "Lasciamo che la luce ci attraversi", HollySiz, The light.

Lo scivolo

Occasionalmente mi capita di parlare con questa persona, con la quale i discorsi finiscono sempre per prendere una piega estrema. L'altro giorno l'argomento era il pilota della Germanwings che si è schiantato con il carico di passeggeri che trasportava. La domanda, a proposito del gesto folle dell'uomo, è stata la più ovvia: "Perché Andreas Lubitz non si è suicidato da solo, senza sacrificare le altre 149 persone a bordo dell'aereo?".  Non altrettanto scontata è stata la risposta che ha dato: "Non lo so, forse era depresso e quando sei depresso non sei in grado di capire bene quello che succede. Quando lo sono stata io, per la morte di mio figlio, ho provato a soffocarmi con un sacchetto di plastica. Ma sai, non è per niente facile suicidarsi, perché alla fine prevale quasi sempre l'istinto di sopravvivenza. Siamo degli animali, infondo, e siamo dotati di un forte spirito di adattamento, anche di fronte al peggiore dei mali". E' la seconda vo

Soltanto perché non sta succedendo...

Li ho guardati come farebbe qualunque genitore: con un sorriso appena abbozzato e un accenno di angoscia. Pensando ciò che qualsiasi padre penserebbe dei figli, ossia quanto sono belli, e vitali, e sorprendenti.  Il pensiero si è spostato quasi subito verso l'altra faccia della medaglia, ai momenti difficili del passato, ai pericoli che sbrigativamente abbiamo archiviato come  scampati , ma che in realtà sono tali soltanto per un breve lasso di tempo. Nessuno ci garantisce, infatti, che prima o dopo non possano ripresentarsi. Non perdo mai il contatto, proprio non ci riesco, con la relatività delle cose, con la momentaneità delle situazioni, con la precarietà sia del bene che del male. Non ho presagi, non conosco formule magiche, non ho idea di come sarà il futuro. So che molte cose dipendono da noi stessi e dalle nostre scelte, ma so pure che tante di più sono le circostanze che non possiamo controllare.  Non credo in nessun tipo di eternità, prima fra tutte quelle terrene, nelle