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Visualizzazione dei post con l'etichetta fraternità

Vi ricordo il cane

La diffidenza è durata per un giorno, poi ha dovuto necessariamente fidarsi, all'inizio non c'ero che io davanti a lui, nessun altro che conoscesse: quest'uomo che, fino al giorno prima, non aveva nemmeno mai visto e, poco dopo, questi due bambini, tanto diversi dai suoi fratelli. Col tempo, poi, a prevalere non sono state le differenze fisiche, quelle restano, ma le similitudini morali, certi comportamenti che possono benissimo assomigliarsi e che accomunano ogni animale, esseri umani compresi, come prendersi cura di un cucciolo, giocare, cercare di capire, se non tutti, almeno alcuni bisogni, perlomeno quelli che definiamo, non a caso, 'primari'. Giungere a comprendere ciò che ci rende simili, certe volte non vuol dire altro che dar fiducia. E' quello che in questi giorni Spot sta facendo verso di noi, ed è ciò che anche noi stiamo facendo verso di lui. Non siamo ancora al dare all'altro l'anima e il corpo , anzi, forse questo noi umani non lo faremo m

Il bambino e il cane

Chi ha detto che gli occhi servono soltanto per vedere o per guardare, per accorgersi di chi ci sta di fronte o per immaginare o sognare (a occhi chiusi, ma anche a occhi aperti - come diciamo spesso - e comunque sempre qualcosa di già visto o che, al massimo, desideriamo vedere)? A volte gli occhi servono a prendere in braccio altri occhi. Per incontrarsi, per capirsi, per dirsi di sì. Per questo, può bastare uno sguardo o sono necessari momenti appena più lunghi. Ma sempre di istanti parliamo quando a parlarsi sono gli occhi. Gli occhi non conoscono né tempi troppi lunghi, né morti. Gli occhi del bambino hanno incontrato quelli del cane. Gli occhi del cane hanno incontrato quelli del bambino. Anche se l'umano guarda il mondo a colori e l'animale in bianco e nero, e un po' sfocato per giunta, credo che nasca così quello che chiamiamo, retoricamente, quando parliamo di innamoramento o soltanto di qualcosa che crediamo tale, "amore a prima vista". Ma quello fra bam

Quattordicesima lettera: la libertà è un dovere

Sulla scia dei fatti di Parigi, questa lettera sulla libertà è la più difficile che vi scrivo.  E forse anche la più incomprensibile. Perché la libertà non è innata, come si potrebbe pensare, né tanto meno è un regalo, ma un dovere verso gli altri e verso noi stessi.  Verso gli altri, perché ne dobbiamo rispettare il pensiero, il credo, le scelte e le azioni.  Verso di noi, perché le stesse libertà, che dobbiamo riconoscere agli altri, dobbiamo vederle riconosciute a noi stessi.  Nessuno ha il diritto di schiacciare la libertà degli altri. Nessuno ha il diritto di reprimere la nostra libertà.  La libertà non è un dono prezioso, come si dice spesso a proposito della vita. Nessuno, infatti, ci ha mai regalato qualcosa di tanto grande. Fin dall'istante in cui veniamo al mondo non siamo liberi, ma dipendiamo dalle cure amorevoli dei nostri genitori. Fin dal primo giorno in cui vediamo la luce, lottiamo per una boccata di ossigeno. E quel po' di aria è una conquista vitale, faticos

Abbracciarsi

La bellezza di questo video è tutta nell'abbraccio finale. Che dice: "Ti voglio bene, chiunque tu sia". "Lasciamo che la luce ci attraversi", HollySiz, The light.

Lo scivolo

Occasionalmente mi capita di parlare con questa persona, con la quale i discorsi finiscono sempre per prendere una piega estrema. L'altro giorno l'argomento era il pilota della Germanwings che si è schiantato con il carico di passeggeri che trasportava. La domanda, a proposito del gesto folle dell'uomo, è stata la più ovvia: "Perché Andreas Lubitz non si è suicidato da solo, senza sacrificare le altre 149 persone a bordo dell'aereo?".  Non altrettanto scontata è stata la risposta che ha dato: "Non lo so, forse era depresso e quando sei depresso non sei in grado di capire bene quello che succede. Quando lo sono stata io, per la morte di mio figlio, ho provato a soffocarmi con un sacchetto di plastica. Ma sai, non è per niente facile suicidarsi, perché alla fine prevale quasi sempre l'istinto di sopravvivenza. Siamo degli animali, infondo, e siamo dotati di un forte spirito di adattamento, anche di fronte al peggiore dei mali". E' la seconda vo

Soltanto perché non sta succedendo...

Li ho guardati come farebbe qualunque genitore: con un sorriso appena abbozzato e un accenno di angoscia. Pensando ciò che qualsiasi padre penserebbe dei figli, ossia quanto sono belli, e vitali, e sorprendenti.  Il pensiero si è spostato quasi subito verso l'altra faccia della medaglia, ai momenti difficili del passato, ai pericoli che sbrigativamente abbiamo archiviato come  scampati , ma che in realtà sono tali soltanto per un breve lasso di tempo. Nessuno ci garantisce, infatti, che prima o dopo non possano ripresentarsi. Non perdo mai il contatto, proprio non ci riesco, con la relatività delle cose, con la momentaneità delle situazioni, con la precarietà sia del bene che del male. Non ho presagi, non conosco formule magiche, non ho idea di come sarà il futuro. So che molte cose dipendono da noi stessi e dalle nostre scelte, ma so pure che tante di più sono le circostanze che non possiamo controllare.  Non credo in nessun tipo di eternità, prima fra tutte quelle terrene, nelle

"Il nostro primo viaggio"

Il figlio grande ha chiamato "il nostro primo viaggio" quello che sabato abbiamo fatto in bicicletta da casa in pineta. Lo ha definito così perché è stata la prima volta che siamo andati da qualche parte pedalando su tre biciclette differenti: la sua, la mia e quella del figlio piccolo. Il secondogenito è caduto poco dopo essere partiti: c'era una buca nell'asfalto, la rotellina si è infilata lì dentro, la bici si è piegata su un fianco e il piccolo si è ritrovato per terra, dopo aver sbattuto la testa. Si è messo a piangere, l'ho consolato, ho guardato fra i capelli, dove la cute si era appena arrossata, si è lamentato ancora un poco ma poi si è calmato subito ed è ripartito come se nulla fosse. Ho detto ai bambini che "da domani si usano i caschi", che "a casa ne abbiamo uno rosso per il grande e uno giallo per il piccolo", ma quasi non ho fatto in tempo a convincerli che, appena arrivati in pineta, il figlio grande si mette a correre, perde

Tre secondi, anche meno

Domenica siamo andati a raccogliere le nocciole con un gruppo di persone che organizza questo tipo di escursioni, un po' alla moda ormai, "a contatto con la natura e alla ricerca dei sapori di un tempo", come quella di giugno nella quale andammo per  fragole . Ebbene, adesso non voglio parlare davvero di frutta secca, anche perché ne abbiamo trovata poca, la maggior parte infatti erano gusci vuoti, né del fatto che, mentre i bambini frugavano nel terreno fra le foglie dei noccioli, io a un certo punto mi sono messo a cercare la cicoria. Racconterò invece una scena, a cui ho assistito e che sarà durata non più di tre secondi, e che in un lampo ha rimandato i miei pensieri a un episodio avvenuto la scorsa estate. La scena è questa e a prima vista può sembrare banale: si è formata una piccola fila fra i partecipanti alla raccolta e a un certo punto il bambino piccolo, che mi precedeva, ha dato la mano a una signora che non conosceva. Non si è accorto dell'equivoco né lui

E' stato come avrei voluto aspettarmi che fosse

L'immaginazione si mescola alla realtà in ogni viaggio che si rispetti. Non solo nelle aspettative, non soltanto nei luoghi dove si vorrebbe tornare. Che non corrispondono più, ormai, a quelli del passato, né i luoghi né i ritorni stessi, perché tutto è cambiato, perfino noi stessi che spesso e volentieri ci crediamo ancora quelli di una volta. E ovviamente anche gli altri, che rincontriamo dopo un po' di tempo, sono diventati tutt'altro da prima. I luoghi e le persone, riviste a distanza di anni, non sono più quelli di prima, ma altra cosa, quasi sempre deludente, perché nella memoria tutto ha una dimensione idilliaca e, sarà come sempre per istinto di conservazione, ricordiamo soprattutto la parte buona degli avvenimenti, mentre rimuoviamo quella negativa, eppure ce ne saranno stati di lati oscuri nelle situazioni che ci sono capitate, almeno quante quelle che intravediamo nel presente con cui facciamo i conti. Dicevo della realtà e dell'immaginazione che si mescolano

E poi c'era questo ballo di rondini

Andiamo a pescare quasi ogni mattina. Il bambino grande entra in camera e mi sveglia. Facciamo colazione e poco dopo siamo già in spiaggia. I primi ad arrivare, mentre il sole inizia a spuntare dal mare e a brillare su quel gigante azzurro ancora addormentato. Sappiamo di avere poco tempo per fare tutto, perché di lì a poco, in una o al massimo due ore, siamo diventati degli esperti in questo, l'acqua si incresperà, come succede tutti i giorni. E noi vogliamo approfittare di quella calma provvisoria non solo per pescare, che non vuol dire necessariamente prendere dei pesci, ma fare qualcosa insieme o farne una mentre chi sta vicino ne fa un'altra, contribuire in definitiva a qualcosa, e intanto parlare, andare e tornare, guardare l'orizzonte da una parte e la costa dall'altra, e osservare, in mezzo, le profondità che mutano sempre, la sabbia bianca e le secche vestite di posidonia, accorgerci di un movimento improvviso, in terra o in cielo o nell'acqua, nella monoto

Per un pugno di riso

Ho appena letto questo libro tanto famoso,  Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, la storia di un viaggio in moto, agli inizi degli anni '70 attraverso gli Stati Uniti, di un padre e un figlio, nella quale però prevalgono nettamente le riflessioni dell'autore attorno alla cosiddetta Metafisica della Qualità sulla vera e propria narrazione avventurosa 'on the road'. A parte qualche spunto filosofico interessante e meno complicato di altri, che ho trovato qua e là nel volume, mi ha colpito molto l'aneddoto che Robert Pirsig usa per parlare della 'Rigidità dei valori', il racconto di come vengono cacciate le scimmie in India: "La trappola consiste in una noce di cocco svuotata e legata a uno steccato con una catena. La noce di cocco contiene del riso che si può prendere attraverso un buco. L'apertura è grande quanto basta perché entri la mano della scimmia, ma è troppo piccola perché ne esca il suo pugno pieno di riso. La scimmia i

Maree: i falsi testimoni

Mi è capitato, molto più spesso di quanto potessi immaginare e, di conseguenza, riuscissi a riconoscere in tempo, di incontrare delle persone senza alcun valore o che, valendo ben poco, passano la vita a cercare di abbassare al loro infimo livello quello degli altri. Anche questo tipo di gente fa parte della marea umana. Sono delle merde e cercano di far passare per merde anche gli altri che stanno loro intorno. Come fanno? Semplice: gettando merda su di loro, ingiuriando, magari dopo essersi mostrati per un certo periodo come degli amiconi, dopo aver adulato e fatto dei gran complimenti. Si arrogano il diritto di parlare male degli altri soltanto perché, precedentemente, ne avevano parlato bene e questi ne avevano accettato i complimenti: se ci si sottopone al giudizio altrui, infatti, non c'è scelta, si deve dire di sì, sia a quelli buoni che a quelli cattivi. Sono personaggi che cercano in continuazione di essere popolari, e che vogliono sempre, e si affannano davvero per ottene

Ho appena venduto la mia vecchia macchina

Ho appena venduto la mia macchina perché ne devo comprare una più grande, me ne serve una con un bagagliaio possibilmente infinito, chissà se la troverò mai. Aveva sette anni, questa mia 'vecchia' macchina, tanti quanto l'età del mio primogenito. I soldi che ne ho ricavato ammontano a meno di un terzo di quanto l'avevo pagata. La svalutazione, si sa. Eppure, questa macchina l'avevo tenuta bene, aveva fatto i tagliandi annuali, aveva appena cambiato gli pneumatici. Insomma, mi sembrava ancora nuova e non credevo che in soli sette anni fosse invecchiata così tanto. La durata delle cose, il tempo e la sua percezione sono tutte cose relative. E la verità è che non mi importa affatto della mia vecchia macchina e non sono, se è per questo, nemmeno un consumista consumato. Mi importa molto di più delle persone che delle cose. Ma ho iniziato questo post, parlando della mia ormai ex macchina, perché a volte il destino delle cose assomiglia in modo incredibile a quello degli

E loro in cambio prendono te?

Mentre torniamo a casa dopo la scuola, il bambino piccolo mi chiede perché mai io vada tutti i giorni al lavoro. Gli rispondo, senza troppi giri di parole e senza dirgli altre ragioni da quella principale, la più terra terra e anche la più vera, che "ci vado perché in cambio mi danno dei soldi".  Pausa brevissima e lui, il figlio di tre anni e quattro mesi, mi domanda testualmente: "E loro in cambio prendono te?". Il che non è esattamente vero. Anzi, a pensarci bene, in gran parte lo è. Ma mi limito lo stesso a precisare che "in cambio prendono un po' del mio tempo: la mattina e un pezzo del pomeriggio". Passa oltre e mi dice: "Con i soldi che ti hanno dato, mi compri i camaleonti fosforescenti in edicola?". "Te li compro quando arriviamo, dal giornalaio sotto casa", i camaleonti, questi rettili che mutano colore, che cambiano le carte in tavola. Un po' come me, un po' come tutti coloro che chiamano le cose con un nome diver

I Fitzgerald a Positano

Erano assidui frequentatori della Costa Azzurra, Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, ma, quasi un secolo dopo, io li ho immaginati a Positano. Quante coppie di americani ho incrociato che se ne andavano a zonzo per i vicoli del paesino della Costiera. E quanti ne ho visti seduti nei ristoranti o nei bar, di fronte a una bottiglia di vino o a una tazza di caffè o di cappuccino...al termine di un pasto. A mangiare a tutte le ore, secondo il fuso del paese ospitante o ancora di quello dello stato da cui provengono. In forma smagliante o meglio, come dicono loro,  fit , oppure ciondolanti, fradici di alcol o drunk, se non addirittura pissed  a tal punto da non reggersi in piedi e dover prendere attentamente la mira per centrare uno scalino e non cadere nel vuoto. Ma sempre molto curati nell'abbigliamento, ben stirati, ben sbarbati e pettinati, gli uomini, ben truccate e ingioiellate le loro consorti. Parlano a bassa voce, non sono i caciaroni del Texas, ma verranno dal New Eng

Limoni come vecchie vedove

Abbiamo deciso di andare a Ravello per visitare il paese e per vedere Villa Cimbrone. Le previsioni meteorologiche non sono affatto buone, ma non piove ancora e così ci mettiamo in cammino attraverso la breve strada che da Atrani sale fino ad arrivare alla Terrazza dell’infinito. Un susseguirsi di tornanti, l’andatura della macchina è lenta e spesso dobbiamo fermarci per dare la precedenza alle vetture che procedono nel senso di marcia opposto al nostro, su stradine strettissime che si arrampicano in mezzo a terrazzamenti coltivati a limoni.  Fazzoletti di terra che terminano con muri in pietra e che si affacciano sul mare, al di sopra di altri terreni, a disegnare piramidi maya di terriccio e frutti, bruni e gialli, in un alternarsi continuo di piani ora verticali e ora orizzontali. I limoni si protendono verso l’azzurro da sponde rocciose che ne evitano il naufragio. Qui i muri non servono a dividere i terreni e a delimitare le proprietà, e nemmeno a portare, sopra di sé, altre strut

Perché guardi il mare?

Siamo partiti per la Costiera amalfitana. I bambini hanno guardato Topolino sul computer per tutto il viaggio, circa tre ore. Ci siamo fermati quando il piccolo ha detto che gli faceva male la pancia. È stato quasi all’arrivo, dopo la strada piena di curve che abbiamo fatto da Napoli verso Maiori. Ho parcheggiato poco prima di Tramonti, nel Parco dei Lattari, su un belvedere che dava sul Vesuvio. Ai suoi piedi si distendevano diversi paesi, fra i quali Pompei ed Ercolano.  Quando gli ho detto che la montagna che avevamo di fronte era un vulcano, il bambino grande mi ha chiesto se fosse pericoloso e se potesse eruttare. Gli ho risposto che “sì, potrebbe farlo, e infatti in passato, tantissimo tempo fa, ha eruttato, sorprendendo le persone che vivevano lì vicino, chi nel sonno, chi mentre lavorava, altri mentre giocavano”. Gli ho detto anche che la lava, dopo essersi raffreddata, ha trasformato in statue di pietra quelle stesse persone di cui ha fermato il tempo. Allo stesso modo si comp

Uovo di Pasqua

Lo so io e lo sanno in molti: fosse per me, non festeggerei né la Pasqua, né il Natale, né ogni altra festa comandata. Ma il mio personale disinteresse per le festività non conta nulla, dato che la maggior parte delle gente ama festeggiare questo tipo di avvenimenti, e fanno bene loro, che almeno si divertono. Per me potrebbero benissimo essere giornate come le altre, se non fosse per il fatto che, lo si voglia o meno, nell'aria è presente una certa atmosfera e le persone che hai intorno vogliono comunque fare qualcosa di speciale, e a volte di straordinario, e ti coinvolgono, in un modo o in un altro. In giorni come questi è sempre una corsa: a fare la spesa in supermercati strapieni, a prenotare ristoranti già al completo, a comprare regali per tutti, a telefonare a persone che non senti per gli altri trecentosessantaquattro giorni dell'anno. Per non parlare delle file in macchina, del traffico, a volte anche del caldo, che cominciano già nei giorni prefestivi.  Un'ansia

La prima pagella

"Che cosa devo dirle di suo figlio? E' bravo a scuola". Durante il colloquio con le maestre per il ritiro della prima pagella di Dodokko, l'insegnante di matematica (l'unica rimasta in classe al mio arrivo, quella di italiano era dovuta andare a prendere di corsa il treno) non ha avuto granché da commentare i voti del primo quadrimestre che mi mostrava: una sfilza di sette e anche alcuni otto, uno perfino in musica, materia mai insegnata a mio figlio, come lui stesso mi ha raccontato la sera a casa (però il giorno dopo gli è venuto in mente che forse musica la fanno...quando cantano le canzoni in inglese). Ho guardato rapidamente la pagella, senza soffermarmi sulle materie, e l'unica domanda che ho saputo fare alla maestra è se mio figlio è educato e se, durante le lezioni, segue con attenzione o si distrae facilmente. L'insegnante mi ha rassicurato: "E' un bambino diligente che, anzi, vorrei fosse meno riservato". Ciò che penso è che i voti

La casa bianca

Mi è capitato qualche giorno fa di andare in una casa bianca (a Roma, non a Washington). E' l'appartamento di un amico di Dodokko che vive assieme alla mamma e a una cameriera-baby sitter. La madre del piccolo è separata da qualche anno, è una modaiola incallita, griffata da capo a piedi e che griffa anche il figlio. I loghi che ostenta, così come il telefonino all'ultimo grido, le conferiscono la sicurezza di cui ha bisogno nei rapporti con gli altri. Niente di male, in questo: preferisco una persona di tale specie a una che, per le stesse ragioni, si rovina la salute con le sigarette o gli psicofarmaci. E poi, chi non ha bisogno di sentirsi certo con gli altri e al sicuro in casa propria?  Anche per questo motivo l'appartamento è prevalentemente bianco, così come suggerito dagli ultimi numeri delle riviste di arredamento, ma il bianco che impera negli abiti, nelle automobili e nei cellulari, a me non piace affatto. Anche se il bianco, ce lo hanno insegnato a scuola, è