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Visualizzazione dei post con l'etichetta educazione

L'arte di essere evanescenti

Nascondersi di fronte al virus e innanzi agli altri, non farsi trovare, è una delle forme possibili del voler essere evanescenti. Anche se ho più di qualche dubbio in proposito, darò la colpa alla prima cosa che mi viene in mente: a suscitare questa strana idea dev'essere la mascherina, che ora indossiamo tutti e che tutti rende indistinguibili, perché ciascuno di noi la porta con la stessa intenzione, quella di proteggersi piuttosto che tutelare gli altri, alzi la mano chi afferma il contrario. E identica per tutti è anche la narrazione di questo accessorio, che invece al prossimo racconta: "Guarda come sono rispettoso, nota quanto sono ligio", mentre chi si avvicina ti riconosce quale suo simile, in questo, e ammicca e ti fa quasi un inchino. Ma rendersi invisibili è un'arte, una forma di comunicazione  visiva , starei per dire, se non suonasse contraddittorio, ma scopriremo fra poco che non lo è affatto, accostare questo aggettivo all'invisibilità. Meglio

Un'ora d'aria

Un'ora d'aria è la metafora perfetta.  Il fatto che la mia passeggiata sia coincisa con un giorno di inizio maggio, con metà della primavera alle spalle, là dove adesso guardano i miei occhi, e l'altra metà davanti a me, dove i miei occhi possono invece soltanto immaginare, ha dell'assurdo: ciò che vedo, infatti, non è il presente, né tantomeno il futuro, ma il passato. È un illuso chiunque pensi di cogliere l'attimo, la realtà nel momento stesso del suo divenire, perché tutto ciò che sappiamo è già avvenuto, fosse anche un secondo prima del nostro arrivo, mentre il presente è quel punto di passaggio fra il prima e il dopo e nessuno può fermarne l'istante nel quale esso ci si para davanti.  Ora, a dire il vero, mentre cammino, davanti agli occhi non ho uno, ma due passati: il primo è quello che mi si presenta allo sguardo, inedito, compiuto quando non c'ero, mentre ero rintanato in casa. Il secondo è quello che ho vissuto e che mi resta nella testa, il

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

La corona di spine di chi non è re di se stesso

Aveva sul capo una dolorosa corona di spine il Re dei Giudei, negli ultimi istanti della sua vita. Inequivocabile il messaggio di chi lo aveva incoronato in questo modo: "Sei un re, ma noi abbiamo il potere di farti morire. E dunque non sei affatto un sovrano, perché non comandi neanche il tuo, di destino. Non sei re proprio di nulla, neanche di te stesso e questa è la corona che fa per te: uno sberleffo, un oggetto di derisione e sofferenza terrena. Di certo, non un simbolo regale degno del discendente di Davide". Saramago dice che, anche se non sanguiniamo, siamo in molti a portare una corona di spine, a non essere padroni di noi stessi. Anzi, afferma che la portiamo perché "non abbiamo il permesso di essere re di noi stessi". Al di là del fatto che essere assoluti padroni di se stessi è un ideale utopistico, ed è incontestabile che nessuno possa per tante ragioni esserlo, in ultima analisi semplicemente perché siamo mortali, mi piace soffermarmi proprio su

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su

Una mia certa idea di dio

Non sono né credente, né tantomeno un teologo. Ma una certa idea di dio in questi giorni me la sono fatta. Perfino io.  Dio è qualcuno o qualcosa che può decidere al nostro posto, della nostra vita, del nostro destino, senza che noi possiamo opporci e riuscire a contrastare questa volontà, perlomeno inizialmente. Il dio che ho in mente io, infatti, non è del tutto invincibile, né immortale.  E l'uomo ha bisogno soltanto di tempo perché trovi la strada giusta: una cura, una risposta, una soluzione. Dio è il virus che ti uccide, ma è anche il medico che ti cura. È l'assassino che dispone della tua vita, ma è anche il poliziotto che sventa l'attentato. È il magistrato che decide il tuo destino, ma è pure il giudice che ribalta la sentenza. È il capo dell'Esecutivo, che decide come governarti, ma è pure l'opposizione parlamentare, che propone un altro indirizzo. Dio è chi può toglierti la libertà e chi può restituirtela. E siamo noi, quando, anche senza una ra

Il coronavirus non è un'occasione per l'umanità

A proposito delle tante cose che girano nelle chat circa il lato positivo ed edificante e migliorativo per l'uomo e per l'ambiente di tragedie come l'epidemia che stiamo affrontando, viste come occasione per ripensare la nostra vita, se non addirittura di redenzione o di punizione per i nostri peccati, insomma come cosa "buona e giusta", ebbene, anche se alla fine dovesse esser questo ovvero una nuova possibilità per il genere umano, io non ho nessuna voglia di ripensare il mondo, la società, l'economia, i rapporti umani e i sentimenti, grazie a ciò che sta accadendo, quasi che il virus, benedetto, mi stia facendo un favore. Io non ho bisogno di una spinta tanto forte, di un flagello che arriva dal cielo, non voglio intravedere il baratro per pensare alla morte, né l'abisso per capirne le conseguenze. Io vorrei che ci rendessimo tutti conto di dove siamo arrivati, di dove sia giunta l'umanità, senza dover raggiungere necessariamente un punto di non

Angoscia

I miei figli e io siamo vicini, in questi giorni di lavoro a casa per me e di scuole chiuse per loro. Il più piccolo ha la febbre. Una delle prime cose che mi ha chiesto è se potesse aver contratto il coronavirus. Ne sente anche lui parlare in televisione. Gli ho detto di no, ovviamente, gli ho spiegato che ha soltanto l'influenza.  Possa piacere o no, per me la vera notizia adesso è l'angoscia, non ne ho altre. Questa pandemia non ha precedenti nella nostra generazione che fino a oggi ha vissuto, anche se non proprio alla grande, di alcune certezze e di una relativa fiducia nel domani. Ma l'angoscia no, questa non l'ha mai provata. Ecco, di fronte a ciò a cui stiamo assistendo, al cospetto delle notizie che parlano di crescita esponenziale delle infezioni, oggi non me la sento proprio di fare previsioni ottimistiche per il futuro.  E quando provo a rasserenare i miei figli, so di tradirli non dicendo loro quale sia la mia vera paura. E cioè che prima o poi ci amm

Il cavallo idiota

Il cavallo è un animale nobile, fiero, sensibile e intelligente, vi ho detto ieri. E anche d'affezione, proprio come il cane e il gatto. Nei paesi anglosassoni è impensabile mangiarne la carne, che da noi è in vendita, e l'idea di farlo è orripilante quanto quella di nutrirsi di Fido o di Lassie.  I cavalli che si vedono in giro per Roma sono quelli che trainano le botticelle per i turisti che amano visitare la Città eterna seduti comodamente nelle carrozze, come nel '600 e nel '700. Tuttavia, fra i cavalli e i monumenti, oggi non ci sono soltanto case, campi e qualche passante, ma circolano soprattutto automobili. Questi animali si muovono nel traffico cittadino per accontentare persone romantiche o nostalgiche, che desiderano un Grand Tour romano d'altri tempi. E' per questo motivo che ai cavalli vengono messi i paraocchi: perché non si spaventino se una macchina sopraggiunge dalla loro destra, per dar loro l'illusione che la strada è sicura.  Tuttavi

La banalità della memoria fine a se stessa

La settimana scorsa ho partecipato, per motivi di lavoro, a due eventi per il Giorno della Memoria: il primo al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica, il secondo in una scuola elementare del centro, sulle cui scalinate d'ingresso sono state poste delle pietre d'inciampo , delle targhe “per non dimenticare”. Parterre di personalità istituzionali e delle comunità ebraiche, nella casa del capo dello Stato. Proiettati a ripetizione, su un pannello posto di fronte agli ospiti, filmati e fotografie in bianco e nero: volti senza più volto e corpi senza più corpo. Aggiungere (o sottrarre) altri aggettivi è retorica. Il primo scopo del lager, infatti, era quello di cancellare la personalità dei prigionieri fino renderli deumanizzati , senza espressione e senza anima, dunque distanti  dagli ariani, sia fisicamente che emotivamente. Delle cose, ormai rotte e inutilizzabili e, in quanto tali, da gettare via come la spazzatura nel cassonetto. Senza pietà, ovviamente

Popcorn

Non mi piace essere perentorio e usare espressioni come "ormai è così", come se non vi fossero più rimedi per cambiare le cose, come se il futuro non potesse sovvertire il presente, cosa che invece succede sempre, prima o poi: non c'è un domani uguale a oggi e nessun oggi è come ieri. Ma vivo nel presente, anzi, vivo il presente, ed è (molto) umano che sia così: l'istante, senza il prima e il dopo, è la sola cosa che ci appartiene: le altre sono il ricordo e le aspettative, ma non sono concrete ed esistono soltanto nella nostra mente e nella fantasia. Sono già finite, non sono più oggetti, non esistono oppure non si realizzeranno, non accadranno, non saranno mai.  Eppure, il prima e il dopo coesistono nel presente di chi li pensa. E di questo istante di passaggio fra l'uno e l'altro fa parte tutta la nostra vita. E la nostra morte non si compie una volta soltanto, ma ogni secondo che viviamo, nel continuo esaurirsi del presente. Ma il presente rinasce anche,

Estate 1981

In primo piano c'è un uomo che corre e ride. Dietro di lui, il mare e uno scoglio sul quale ci sono sei persone. Cinque sono amici delle vacanze, ritrovati ogni anno durante la villeggiatura. C'è poi un bambino, che nella foto si scorge soltanto per metà e che è voltato verso di loro: se ne vede una gamba, il costumino rosso, il braccio sinistro, una parte del viso: la bocca, il profilo del naso, i capelli lisci sulla fronte. Gli occhi però sono sfocati. Potrei benissimo essere io quel ragazzino che osserva un gruppo di persone che ridono nell'estate del 1981. Oppure potrebbe essere mio fratello. Invece, la persona che corre e che ride è mio padre. Ha appena abbassato il costume dell'uomo in piedi sullo scoglio. E' per questo scherzo stupido e divertente che adesso - l'istante esatto nel quale la foto è stata scattata - tutti ridono. Ed è quell'adesso - questo adesso - che più d'ogni altra cosa mi fa riflettere. Il tempo che torna dal passato e che, imp

Due mani di carta

Attraverso il ponte tutte le mattine, ma guardo sempre davanti a me, raramente di fianco. Il fiume scorre ai lati dei miei occhi, è uno specchio bruno su cui non mi soffermo mai.  Stamattina, invece, l'increspatura dell'acqua mi attirava, perché era simile a quella che ha il mare quando soffia la tramontana.  "Non c'è differenza di acqua - ho pensato - tra un fiume e un oceano, perché il primo è il preludio del secondo, e senza l'uno non potrebbe esistere l'altro. Ma noi guardiamo l'uno e l'altro - mi sono detto - dando a ciascuno un nome diverso, facendo delle distinzioni. E più ci addentriamo nei particolari, più ci allontaniamo dalla verità generale e più commettiamo errori: più siamo precisi e più sbagliamo ed è inevitabile che sia così, agli uomini non è dato di vivere l'essenza delle cose e di avere una visione globale della realtà, anche perché, se ciò accadesse, verrebbe meno tanto il panorama quanto l'osservatore, l'oggetto assieme

Il diritto del signor Pincopallo

"Ma fa' pure come ti pare, tanto non frega a nessuno degli altri: ognuno pensa a se stesso e la maggior parte delle volte, quando fai qualcosa che può nuocere al prossimo, non se ne accorge nessuno e di rado qualcuno si oppone". Parole egoistiche, qualunquiste, deprorevoli, di un mio collega che l'altro giorno, a modo suo, ha voluto darmi un consiglio. Una frase di chi non nutre un senso civico, un'idea minima di società o di bene comune, ma che coglie comunque nel segno, perché descrive puntualmente i fatti, lo stato delle cose, la realtà nella quale viviamo.  Gli esseri umani sono egoisti per natura e consumano le risorse per stare meglio, singolarmente, ai danni degli altri: il mio collega ha perfettamente ragione. Banalmente, è egoista chi mi vieta di mettere la bicicletta in una stanza non utilizzata dell'ufficio perché, di punto in bianco, ritiene che quel posto non è un garage, e dunque "ordine, signori, chiamiamo le cose con il loro nome, e diamo

La matematica, i giudizi, infine il cane

Osserva il mondo che hai attorno – dice il matematico – e trai le tue conclusioni: la realtà non è che il risultato della combinazione di più fattori, ai quali è possibile risalire attraverso un viaggio, spesso breve, a ritroso nel tempo. Trova – l'uomo reale, quello fatto di carne, ossa e sangue – corretta questa affermazione del matematico? Pensa egli che la propria vita, e quella degli altri, sia riconducibile a un'equazione? Veramente, nella realtà, un risultato, un numero a caso, poniamo il 3, è dato da 1+2 o da 4-1 o da 1x3 o da 9:3 o da tante altre operazioni (quante sono i numeri e le loro possibili combinazioni)? I numeri sono infiniti, e finiti fin tanto che siamo capaci di contarli, e questi ultimi definiti, e gli altri, quelli che mancano all'appello, al massimo definibili. Ma un uomo non è il risultato di un'operazione matematica, né la sua vita è il prodotto della combinazione di fattori definiti o definibili. Molte ragioni sono infatti indefinibili o non

Il polpo

L'altro giorno una mia amica mi ha chiesto perché mai io porti al collo un ciondolo con un polpo. Un po' stupito per la domanda, all'inizio ho voluto raccontarle di simbologie più o meno fantasiose, per poi confessarle che si tratta di un semplice regalo.  Ciò che non le ho detto, anche perché non credo che infondo sia così interessante saperlo per una persona che ti fa una domanda sulla collanina che indossi, è cosa rappresenti per me questo animale.  Ebbene, il primo incontro con i polpi risale a quando ero ancora un bambino. Li pescavano mio padre e mio cugino, abilissimi nell'individuarli nel fondale, dove se ne stavano mimetizzati sotto a una pietra, magari con un tentacolo che ne usciva, o, sulla sabbia, fra un gruppetto improvvisato di sassi bianchi con i quali il mollusco aveva costruito la propria tana.  Quando mi immergevo in mare con loro, a volte li prendevo anche io, dopo che mio padre mi aveva indicato esattamente il punto in cui si trovavano.  Il polpo è,

Compleanni 'in modalità privata'

Una delle novità dell'anno scolastico in corso è il fatto che le feste di compleanno si siano drasticamente diradate rispetto agli anni precedenti. Non esagero: in prima elementare ce n'era una ogni due, massimo tre settimane, In seconda e in terza, almeno una al mese. In quarta, da settembre fino a oggi, ce ne saranno state sì e no due.  Cosa è successo? I bambini non festeggiano più il loro compleanno? Sono finiti quei soldi, e parecchi, che prima si spendevano fra sala da affittare, animazione e catering? O è finito l'entusiasmo, o la megalomania, fino all'indebitamento, da matrimonio indiano, nel festeggiare un avvenimento in maniera tale che lasci il segno, un ricordo indelebile nelle generazione che verranno...   No, niente di tutto questo. La tendenza, adesso, è quella di festeggiare 'in modalità privata' i compleanni. Ovvero, restringendo  l'invito a pochi fortunati, ai cosiddetti - immagino le proposte dei genitori ai figli attoniti -  migliori amic

Ritorno

Scrivo seduto sulla poltrona di un treno, guardando il mare tutte le volte che compare sullo schermo del mio finestrino, nel breve spazio fra una casa e un’altra o in quello più durevole, appena dopo una stazione in cui il convoglio ha appena fatto sosta, prima di ricominciare a correre.  Sono stato lontano una settimana e, ora che sono in viaggio, realizzo quanto sia stupida questa parola: ritorno. Sbaglia sia chi ritorna e sia chi aspetta qualcuno che stia arrivando, anche dopo pochi minuti da quando è andato via, a pensare di ritrovare esattamente ciò che ha lasciato, come se il momento dell’addio abbia potuto congelare il tempo: gli occhi, che si salutarono, ancora lì, fermi in quel frangente davanti alla porta di casa o, nelle orecchie, le brevi parole di commiato pronunciate, sospese nell'aria. E’ un’illusione credere di ritrovare ciò che si è lasciato, così come è sempre un’idiozia pensare che il tempo si fermi. Stare insieme significa soprattutto percepire, senza alcuna pre

Modi di dire (e di fare)

Lascio per un momento il figlio grande fuori dalla scuola assieme a Spot, per accompagnare il piccolo in classe, uno degli ultimi giorni della materna, l'anno prossimo andrà in prima elementare e anche per lui, finalmente, le lezioni finiranno prima, a metà giugno, come per il fratello. Poco dopo torno indietro e trovo il grande che ride come un pazzo, a guardare Spot e un bassotto che abbaiano l'uno verso l'altro, a turno, in un dialogo incomprensibile ma divertente: botta e risposta, una parola tira l'altra, si domanda e si dice quel che si sa, il modo di parlare è del tutto ininfluente oppure è il solo che conta, quando le parole non si capiscono. La cosa bella è il rispetto dei tempi dell'interlocutore, soltanto quando questi ha finito di dire la propria, l'altro può intervenire. E' questo che fa ridere di più mio figlio: l'accettazione di regole non prestabilite, ma presenti, evidentemente, e la partecipazione, il pathos con il quale certi argomenti

Vi ricordo il cane

La diffidenza è durata per un giorno, poi ha dovuto necessariamente fidarsi, all'inizio non c'ero che io davanti a lui, nessun altro che conoscesse: quest'uomo che, fino al giorno prima, non aveva nemmeno mai visto e, poco dopo, questi due bambini, tanto diversi dai suoi fratelli. Col tempo, poi, a prevalere non sono state le differenze fisiche, quelle restano, ma le similitudini morali, certi comportamenti che possono benissimo assomigliarsi e che accomunano ogni animale, esseri umani compresi, come prendersi cura di un cucciolo, giocare, cercare di capire, se non tutti, almeno alcuni bisogni, perlomeno quelli che definiamo, non a caso, 'primari'. Giungere a comprendere ciò che ci rende simili, certe volte non vuol dire altro che dar fiducia. E' quello che in questi giorni Spot sta facendo verso di noi, ed è ciò che anche noi stiamo facendo verso di lui. Non siamo ancora al dare all'altro l'anima e il corpo , anzi, forse questo noi umani non lo faremo m