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La corona di spine di chi non è re di se stesso

Aveva sul capo una dolorosa corona di spine il Re dei Giudei, negli ultimi istanti della sua vita. Inequivocabile il messaggio di chi lo aveva incoronato in questo modo: "Sei un re, ma noi abbiamo il potere di farti morire. E dunque non sei affatto un sovrano, perché non comandi neanche il tuo, di destino. Non sei re proprio di nulla, neanche di te stesso e questa è la corona che fa per te: uno sberleffo, un oggetto di derisione e sofferenza terrena. Di certo, non un simbolo regale degno del discendente di Davide". Saramago dice che, anche se non sanguiniamo, siamo in molti a portare una corona di spine, a non essere padroni di noi stessi. Anzi, afferma che la portiamo perché "non abbiamo il permesso di essere re di noi stessi". Al di là del fatto che essere assoluti padroni di se stessi è un ideale utopistico, ed è incontestabile che nessuno possa per tante ragioni esserlo, in ultima analisi semplicemente perché siamo mortali, mi piace soffermarmi proprio su

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su

Una mia certa idea di dio

Non sono né credente, né tantomeno un teologo. Ma una certa idea di dio in questi giorni me la sono fatta. Perfino io.  Dio è qualcuno o qualcosa che può decidere al nostro posto, della nostra vita, del nostro destino, senza che noi possiamo opporci e riuscire a contrastare questa volontà, perlomeno inizialmente. Il dio che ho in mente io, infatti, non è del tutto invincibile, né immortale.  E l'uomo ha bisogno soltanto di tempo perché trovi la strada giusta: una cura, una risposta, una soluzione. Dio è il virus che ti uccide, ma è anche il medico che ti cura. È l'assassino che dispone della tua vita, ma è anche il poliziotto che sventa l'attentato. È il magistrato che decide il tuo destino, ma è pure il giudice che ribalta la sentenza. È il capo dell'Esecutivo, che decide come governarti, ma è pure l'opposizione parlamentare, che propone un altro indirizzo. Dio è chi può toglierti la libertà e chi può restituirtela. E siamo noi, quando, anche senza una ra

Nessuno potrà mai allontanarci

Io non so come finirà questa storia. Né cosa ci riservi il futuro, se fra poco saremo ancora insieme oppure no. Ciò di cui ho assoluta certezza sono i nostri sentimenti, quel che proviamo gli uni verso gli altri. Ve l'ho detto: proveranno a metterli in discussione, si serviranno del tempo per oscurare la vostra memoria, cercheranno di convincervi che il vostro passato era sbagliato e che il presente, invece, corrisponde a ciò che dev'essere ed è giusto che sia. Ma voi non crederete a queste favole, non vi farete ingannare. Conoscete bene quale sia la verità, so che la cercherete e che saprete trovarla. Vi ho insegnato a non farvi trattare da stupidi, ma a ragionare con le vostre teste. Vi ho sempre consigliato di essere critici, di dire, di cercare e di pretendere sempre la verità. La verità che è sopra qualsiasi cosa, più importante di tutto, perfino di noi stessi e dei nostri sentimenti. So bene che la verità è spesso scomoda e spiacevole, così come altre volte può and

Angoscia

I miei figli e io siamo vicini, in questi giorni di lavoro a casa per me e di scuole chiuse per loro. Il più piccolo ha la febbre. Una delle prime cose che mi ha chiesto è se potesse aver contratto il coronavirus. Ne sente anche lui parlare in televisione. Gli ho detto di no, ovviamente, gli ho spiegato che ha soltanto l'influenza.  Possa piacere o no, per me la vera notizia adesso è l'angoscia, non ne ho altre. Questa pandemia non ha precedenti nella nostra generazione che fino a oggi ha vissuto, anche se non proprio alla grande, di alcune certezze e di una relativa fiducia nel domani. Ma l'angoscia no, questa non l'ha mai provata. Ecco, di fronte a ciò a cui stiamo assistendo, al cospetto delle notizie che parlano di crescita esponenziale delle infezioni, oggi non me la sento proprio di fare previsioni ottimistiche per il futuro.  E quando provo a rasserenare i miei figli, so di tradirli non dicendo loro quale sia la mia vera paura. E cioè che prima o poi ci amm

Il cavallo idiota

Il cavallo è un animale nobile, fiero, sensibile e intelligente, vi ho detto ieri. E anche d'affezione, proprio come il cane e il gatto. Nei paesi anglosassoni è impensabile mangiarne la carne, che da noi è in vendita, e l'idea di farlo è orripilante quanto quella di nutrirsi di Fido o di Lassie.  I cavalli che si vedono in giro per Roma sono quelli che trainano le botticelle per i turisti che amano visitare la Città eterna seduti comodamente nelle carrozze, come nel '600 e nel '700. Tuttavia, fra i cavalli e i monumenti, oggi non ci sono soltanto case, campi e qualche passante, ma circolano soprattutto automobili. Questi animali si muovono nel traffico cittadino per accontentare persone romantiche o nostalgiche, che desiderano un Grand Tour romano d'altri tempi. E' per questo motivo che ai cavalli vengono messi i paraocchi: perché non si spaventino se una macchina sopraggiunge dalla loro destra, per dar loro l'illusione che la strada è sicura.  Tuttavi

La banalità della memoria fine a se stessa

La settimana scorsa ho partecipato, per motivi di lavoro, a due eventi per il Giorno della Memoria: il primo al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica, il secondo in una scuola elementare del centro, sulle cui scalinate d'ingresso sono state poste delle pietre d'inciampo , delle targhe “per non dimenticare”. Parterre di personalità istituzionali e delle comunità ebraiche, nella casa del capo dello Stato. Proiettati a ripetizione, su un pannello posto di fronte agli ospiti, filmati e fotografie in bianco e nero: volti senza più volto e corpi senza più corpo. Aggiungere (o sottrarre) altri aggettivi è retorica. Il primo scopo del lager, infatti, era quello di cancellare la personalità dei prigionieri fino renderli deumanizzati , senza espressione e senza anima, dunque distanti  dagli ariani, sia fisicamente che emotivamente. Delle cose, ormai rotte e inutilizzabili e, in quanto tali, da gettare via come la spazzatura nel cassonetto. Senza pietà, ovviamente

Popcorn

Non mi piace essere perentorio e usare espressioni come "ormai è così", come se non vi fossero più rimedi per cambiare le cose, come se il futuro non potesse sovvertire il presente, cosa che invece succede sempre, prima o poi: non c'è un domani uguale a oggi e nessun oggi è come ieri. Ma vivo nel presente, anzi, vivo il presente, ed è (molto) umano che sia così: l'istante, senza il prima e il dopo, è la sola cosa che ci appartiene: le altre sono il ricordo e le aspettative, ma non sono concrete ed esistono soltanto nella nostra mente e nella fantasia. Sono già finite, non sono più oggetti, non esistono oppure non si realizzeranno, non accadranno, non saranno mai.  Eppure, il prima e il dopo coesistono nel presente di chi li pensa. E di questo istante di passaggio fra l'uno e l'altro fa parte tutta la nostra vita. E la nostra morte non si compie una volta soltanto, ma ogni secondo che viviamo, nel continuo esaurirsi del presente. Ma il presente rinasce anche,

Due mani di carta

Attraverso il ponte tutte le mattine, ma guardo sempre davanti a me, raramente di fianco. Il fiume scorre ai lati dei miei occhi, è uno specchio bruno su cui non mi soffermo mai.  Stamattina, invece, l'increspatura dell'acqua mi attirava, perché era simile a quella che ha il mare quando soffia la tramontana.  "Non c'è differenza di acqua - ho pensato - tra un fiume e un oceano, perché il primo è il preludio del secondo, e senza l'uno non potrebbe esistere l'altro. Ma noi guardiamo l'uno e l'altro - mi sono detto - dando a ciascuno un nome diverso, facendo delle distinzioni. E più ci addentriamo nei particolari, più ci allontaniamo dalla verità generale e più commettiamo errori: più siamo precisi e più sbagliamo ed è inevitabile che sia così, agli uomini non è dato di vivere l'essenza delle cose e di avere una visione globale della realtà, anche perché, se ciò accadesse, verrebbe meno tanto il panorama quanto l'osservatore, l'oggetto assieme

Il polpo

L'altro giorno una mia amica mi ha chiesto perché mai io porti al collo un ciondolo con un polpo. Un po' stupito per la domanda, all'inizio ho voluto raccontarle di simbologie più o meno fantasiose, per poi confessarle che si tratta di un semplice regalo.  Ciò che non le ho detto, anche perché non credo che infondo sia così interessante saperlo per una persona che ti fa una domanda sulla collanina che indossi, è cosa rappresenti per me questo animale.  Ebbene, il primo incontro con i polpi risale a quando ero ancora un bambino. Li pescavano mio padre e mio cugino, abilissimi nell'individuarli nel fondale, dove se ne stavano mimetizzati sotto a una pietra, magari con un tentacolo che ne usciva, o, sulla sabbia, fra un gruppetto improvvisato di sassi bianchi con i quali il mollusco aveva costruito la propria tana.  Quando mi immergevo in mare con loro, a volte li prendevo anche io, dopo che mio padre mi aveva indicato esattamente il punto in cui si trovavano.  Il polpo è,

Vi ricordo il cane

La diffidenza è durata per un giorno, poi ha dovuto necessariamente fidarsi, all'inizio non c'ero che io davanti a lui, nessun altro che conoscesse: quest'uomo che, fino al giorno prima, non aveva nemmeno mai visto e, poco dopo, questi due bambini, tanto diversi dai suoi fratelli. Col tempo, poi, a prevalere non sono state le differenze fisiche, quelle restano, ma le similitudini morali, certi comportamenti che possono benissimo assomigliarsi e che accomunano ogni animale, esseri umani compresi, come prendersi cura di un cucciolo, giocare, cercare di capire, se non tutti, almeno alcuni bisogni, perlomeno quelli che definiamo, non a caso, 'primari'. Giungere a comprendere ciò che ci rende simili, certe volte non vuol dire altro che dar fiducia. E' quello che in questi giorni Spot sta facendo verso di noi, ed è ciò che anche noi stiamo facendo verso di lui. Non siamo ancora al dare all'altro l'anima e il corpo , anzi, forse questo noi umani non lo faremo m

Il bambino e il cane

Chi ha detto che gli occhi servono soltanto per vedere o per guardare, per accorgersi di chi ci sta di fronte o per immaginare o sognare (a occhi chiusi, ma anche a occhi aperti - come diciamo spesso - e comunque sempre qualcosa di già visto o che, al massimo, desideriamo vedere)? A volte gli occhi servono a prendere in braccio altri occhi. Per incontrarsi, per capirsi, per dirsi di sì. Per questo, può bastare uno sguardo o sono necessari momenti appena più lunghi. Ma sempre di istanti parliamo quando a parlarsi sono gli occhi. Gli occhi non conoscono né tempi troppi lunghi, né morti. Gli occhi del bambino hanno incontrato quelli del cane. Gli occhi del cane hanno incontrato quelli del bambino. Anche se l'umano guarda il mondo a colori e l'animale in bianco e nero, e un po' sfocato per giunta, credo che nasca così quello che chiamiamo, retoricamente, quando parliamo di innamoramento o soltanto di qualcosa che crediamo tale, "amore a prima vista". Ma quello fra bam

La luce di Lisbona

Sono tornato da Lisbona da pochi giorni e non parlerò, adesso, della città lusitana, delle sue piazze e delle vie che evocano la libertà conquistata, né del tram 28 o del castello o di Belem. Queste cose, infatti, sono descritte in tutte le guide turistiche. Racconterò soltanto che è la seconda volta che vado in questo posto che amo con tutto il cuore, forse più d'ogni altro, dove c'è un fiume che sembra il mare: la città e l'acqua sono i luoghi nei quali è più facile perdersi ed eventualmente, se davvero lo si desidera, ritrovarsi.  A distanza di dieci anni dalla prima volta, sono stato a Lisbona soltanto con i miei figli, con i quali ho fatto l'esperienza di un viaggio intimo meraviglioso. Due compagni infaticabili, due bambini per molti versi già uomini e certamente viaggiatori meno noiosi di tanti adulti che conosco. Curiosi e interessati a tutto, non hanno mai perso l'attenzione verso ogni piccolo particolare e novità che abbiamo incontrato.  Riuscireste a imma

Pastinedda

"Vieni a tavola. Ti ho fatto un po' di pastinedda ".  "Cos'è che ha cucinato, la zia?", mi domanda il figlio grande. Gli spiego che "ha preparato un piatto di pastina per lo zio". E non gli dico che pastinedda  è un'ulteriore abbreviazione, dialettale, di un nome già abbreviato: pastina.  Non gli racconto nemmeno cosa mi suscita - e mi limito invece ad ascoltare da solo queste mie sensazioni - il modo, di chiamare il marito, di quella anziana donna. Quanta delicatezza attorno a una semplice parola e quante connotazioni d'amore in un solo invito a mangiare! Ci ho visto due persone che si prendono per mano, una piccola offerta, tutto l'aiuto che sia possibile regalare. Non so davvero perché mi venga in mente cosa ci siamo detti una settimana fa, quando hai affermato con grande convinzione che Babbo Natale non esiste, anzitutto "perché non si sono mai viste delle renne che volano". Io ti ho risposto che, se è vero che non le hai

Antonello

Tutto sarà durato meno di un minuto. Escluso il tempo che ci ha messo per scendere e bussare alla porta e quello che ho impiegato io per vestirmi e salire al piano di sopra.  La signora si scusa in anticipo per il disordine in casa. Il figlio cinquantenne è per terra, accanto a un divano, nella stanza a destra, appena dopo l'ingresso. E' caduto dal letto, nella camera in fondo al corridoio, e la madre - me lo racconta lei stessa - lo ha trascinato per i piedi fino al solottino. E' troppo pesante, il figlio, perché lei riesca a sollevarlo da sola e a farlo sdraiare sul divano. E anche insieme ce la facciamo a stento. Io lo prendo dalle braccia, lei dalle gambe e, quando è ancora soltanto appoggiato all'inizio della seduta, ancora in bilico, lei lo incita, ripetendoglielo tre, quattro volte di seguito,  a "spostare il culo verso lo schienale". Nel frattempo lui mi osserva, come si guarderebbe un estraneo (questo in realtà sono) che comparisse di punto in bianco

Vento

Stasera ho ascoltato Angelo Panebianco dire che il proprio percorso formativo è stato piuttosto lineare, che non vi sono stati stravolgimenti particolari nel passaggio dagli studi al lavoro. "L'unica vera rivoluzione nella mia vita - ha detto - c'è stata con la nascita dei miei figli, nel momento in cui ho capito che qualcun altro dipendeva totalmente da me". Ho sentito dire molte volte che la nascita di un bambino porta a un cambiamento radicale nella vita delle persone, nel momento che queste divengono genitrici. Non posso non condividere questa affermazione: essere genitori significa troncare con un passato privo di responsabilità mai tanto dirette.  Eppure, nel momento stesso nel quale assume questo ruolo, il neo genitore non cessa di essere figlio, anzi: il suo essere padre o madre lo rimanda costantemente al periodo nel quale erano i propri genitori a prendersi cura di lui, agli anni in cui egli stesso era figlio. Ai ricordi di un tempo, all'esperienza, agli

Abbracciarsi

La bellezza di questo video è tutta nell'abbraccio finale. Che dice: "Ti voglio bene, chiunque tu sia". "Lasciamo che la luce ci attraversi", HollySiz, The light.

Lo scivolo

Occasionalmente mi capita di parlare con questa persona, con la quale i discorsi finiscono sempre per prendere una piega estrema. L'altro giorno l'argomento era il pilota della Germanwings che si è schiantato con il carico di passeggeri che trasportava. La domanda, a proposito del gesto folle dell'uomo, è stata la più ovvia: "Perché Andreas Lubitz non si è suicidato da solo, senza sacrificare le altre 149 persone a bordo dell'aereo?".  Non altrettanto scontata è stata la risposta che ha dato: "Non lo so, forse era depresso e quando sei depresso non sei in grado di capire bene quello che succede. Quando lo sono stata io, per la morte di mio figlio, ho provato a soffocarmi con un sacchetto di plastica. Ma sai, non è per niente facile suicidarsi, perché alla fine prevale quasi sempre l'istinto di sopravvivenza. Siamo degli animali, infondo, e siamo dotati di un forte spirito di adattamento, anche di fronte al peggiore dei mali". E' la seconda vo

Soltanto perché non sta succedendo...

Li ho guardati come farebbe qualunque genitore: con un sorriso appena abbozzato e un accenno di angoscia. Pensando ciò che qualsiasi padre penserebbe dei figli, ossia quanto sono belli, e vitali, e sorprendenti.  Il pensiero si è spostato quasi subito verso l'altra faccia della medaglia, ai momenti difficili del passato, ai pericoli che sbrigativamente abbiamo archiviato come  scampati , ma che in realtà sono tali soltanto per un breve lasso di tempo. Nessuno ci garantisce, infatti, che prima o dopo non possano ripresentarsi. Non perdo mai il contatto, proprio non ci riesco, con la relatività delle cose, con la momentaneità delle situazioni, con la precarietà sia del bene che del male. Non ho presagi, non conosco formule magiche, non ho idea di come sarà il futuro. So che molte cose dipendono da noi stessi e dalle nostre scelte, ma so pure che tante di più sono le circostanze che non possiamo controllare.  Non credo in nessun tipo di eternità, prima fra tutte quelle terrene, nelle

Fenomeni di bullismo

Otto minuti di calci, pugni, morsi, sputi e insulti contro una dodicenne nei pressi di Genova: è la vendetta di due adolescenti di sedici e diciassette anni contro la ragazzina 'colpevole' di aver insultato, precedentemente, una di loro. Il video, girato col telefonino di una delle due ragazze fra l'indifferenza di altri coetanei presenti sulla scena, si trova in rete e parla da solo: di accanimento, di violenza senza limiti, di assoluta miopia nei confronti del rispetto della persona. Quasi sicuramente, racconta anche del disagio familiare e sociale nel quale questi ragazzi vivono, luoghi dove non viene insegnato il valore della vita, dove non si impara ad aiutare chi è in difficoltà e dove invece si ammira chi è più forte e spietato. Forse qualcuno me lo ha trasmesso il sentimento della pietà, quando ero un bambino, anche se non ricordo più come abbia fatto. So soltanto che dove vedevo una fila di formiche attraversare la 'mia' strada, io facevo un salto per non s